La mia sedia a
dondolo è una macchina del tempo. Mi ci siedo piano, senza fretta.
Appoggio la schiena e la testa. Sulla schiena, in più punti, sento
le parti sporgenti del legno, quelle che formano una decorazione a
sbalzo sullo schienale. Appoggio i gomiti sui braccioli e le mani
restano lì, con il palmo in giù, con le dita in giù. Ecco. In giù.
Spingo poco con una gamba e inizio a dondolare. E anche il pensiero
allora, inizia. E' un movimento che lei non faceva mai. Stava ferma
su questa stessa sedia a dondolo, seduta sulla punta, con i piedi
bene a terra. E teneva la schiena ricurva in avanti, come per
guardare in giù. Rimaneva sempre in casa, dai parenti con cui
viveva. Parlava poco, con una voce che si sentiva appena. Con lei mi
piaceva ritagliare le figure dai giornali. Ne abbiamo ritagliate
tante noi due insieme, durante le vacanze di Natale, quando veniva a
stare da noi. Non ricordo cosa ne facessimo poi di tutte quelle
figure ritagliate. So che le piaceva disegnare, ma non ho mai visto
nessuno dei suoi disegni. Il suo corpo minimo e claudicante vestiva
abiti scuri, e le scarpe ai piedi erano di quelle ortopediche, per un
problema alla gamba, non so a quale delle due. Non l'ho mai vista
scalza, mia nonna, indossava sempre quelle scarpe ortopediche. E
ricordo bene il rumore delle sue scarpe ortopediche, ad ogni passo
uno scricchiolìo. E anche la mia sedia a dondolo, scricchiola.
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