v e n e r d ì b l u e s

sveglia alle cinque a causa di un ronzio nervoso e insistente tra le tende della mia camera: una vespa, non so come nè da dove. caffè. doccia. mezz'ora di lettura. partenza alle sette e trenta. un'ora di macchina. arrivo alla sede dell'hotel dove mi sono rinchiusa per otto ore assieme ad altre cinquanta persone: corso di aggiornamento intensivo sulla contabilità condominiale, il secondo di due appuntamenti, con incursioni sul tema della mediazione civile, arbitrato, ecc. il docente, un bocconiano tonico, convinto che l'amministratore debba essere/diventare un building manager, età presunta quaranta, passione dichiarata per la nautica. a pranzo, fuga dal gruppo che si è fermato in hotel per buffet a bordo piscina. esco a piedi, mi guardo attorno, attraverso il parcheggio e procedo verso sinistra. c'è un vento allegro, i capelli mi vanno dappertutto. arrivo sul ciglio della tangenziale. dall'altra parte della strada una roadhouse grill, possibilità che scarto subito. guardo alla mia destra, e scorgo a una distanza di una ventina di metri un cartello che indica un distributore. mi incammino sull'asfalto che sento già amico. svolto subito dopo il grosso cespuglio che mi impedisce la vista e sbuco in un piazzale dove c'è tutto: le pompe di benzina, un benzinaio, un bar. welcome home, baby.


v a r i a b i l e

vado di fretta, cammino a testa bassa, penso a tutto il resto di giornata che mi attende, inizio a sentire caldo, e ciò mi disturba, la borsa pesa parecchio. attraverso sulle strisce pedonali e salgo sul marciapiede che costeggia i giardini pubblici recintati, quelli dove un tempo trovava ospitalità quel clochard che mi piaceva tanto, e che ora la notte sono chiusi grazie a quella gabbia che l'amministrazione comunale ha voluto, con sommo gaudio di tutti. cammino e guardo a terra, vedo i miei piedi apparire e scomparire, vedo buche e crepe sull'asfalto, qualche ciuffo d'erba, qualche carta appallottolata e lasciata lì, il ritmo è sempre uguale, sono concentrata, mi interessa unicamente evitare di incontrare lo sguardo altrui, così evito di fermare la mia marcia e riesco a evitare anche di dover parlare, che non ne ho proprio voglia, e fin'ora mi è andata bene, per tutto il tragitto nessuno mi ha fermata. sono in prossimità della cabina enel, quella posizionata al termine della recinzione, quella piena di scritte e di manifesti appesi e strappati che neanche Rotella, quella vicina alla piccola area sabbiosa che talvolta, forse meglio dire spesso (meglio spesso?) ospita escrementi, rifiuti, cose così ma il ritmo, quello lo voglio mantenere e procedo decisa, non fosse per quell'attimo di deconcentrazione in cui alzo appena lo sguardo e intravedo all'interno della gabbia, nell'angolo dove la recinzione finisce, un bimbo seduto, in disparte da tutto il gruppo dei bambini che giocano alle giostrine, un bimbo seduto che man mano che mi avvicino sento che parla da solo, e quando gli passo a fianco vedo che sta piangendo. lancio un rapidissimo sguardo alle persone dentro alla gabbia, continuo a camminare, vedo gruppi di bambini che giocano tra gli alberi e qualche adulto seduto sulle panchine, ma il ritmo, quello no, non lo voglio mollare e dunque procedo oltre, devo fare un sacco di cose oggi, e sono anche un po' in ritardo. cammino e penso che se mantengo la tabella di marcia riesco a stare nei tempi, piangeva, dunque cammino, piangeva e parlava da solo, poi devo anche fare una telefonata all'avvocato, chissà perchè piangeva, e dirgli di procedere con il decreto ingiuntivo perchè quello ci sta prendendo per il culo, magari si è perso, poi se riesco a beccare il geometra in ufficio, ma è strano che sia lì da solo, gli mostro il rilievo e le parti da rivedere, così piccolo, ma che ore sono, ci sarà sicuramente qualcuno che lo conosce, è tardi, mi aspettano in cantiere e sono in ritardo, in culo i geometri, saranno cinquecento metri, cammino ancora più veloce, ho il terrore di non trovarlo quando torno sul posto, se non lo trovo sono cazzi, per me, lo so, dove credevo di andare, dove cazzo credevo di andare, arrivo e rallento, qualche passo oltre la cabina e lo vedo, è lì, tachicardia, mi fermo e gli chiedo che succede, lui non mi risponde, gli chiedo se è arrabbiato, devo sapere, e lui allora mi guarda di sotto in sù e mi grida che sì, che è arrabbiato perchè, dice, siamo uguali, mi dice, perchè dicono che io non li faccio ridere e gli altri invece si, invece io quando racconto le barzellette a scuola ridono tutti quindi siamo uguali! mi dice. uguali! si alza e se ne va verso un altro angolo della recinzione, lontano da me. cammino, piano.