Sono
da poco passate le sette di sera. E' venerdì. Sono in cucina a
lavare la verdura. Apro il rubinetto e lascio scorrere l’acqua
fredda fino a riempire il cestello della centrifuga, dove ho
sistemato le foglie di radicchio rosso private della loro parte più
dura. La pentola per il brodo è già pronta sul fuoco con l'acqua e
le verdure. Stasera si mangia risotto. Faccio girare con piccoli
movimenti della mano il cestello con le foglie. L’acqua fredda mi
ghiaccia le dita. Guardo le mie dita muovere le foglie, guardo le
foglie girare, cerco con gli occhi se ci sono impurità o parti da
eliminare. Gioco con l'acqua. Cambio l'acqua e ripeto l'operazione di
lavaggio. Quei movimenti sono quasi automatici. Sto pensando se ho
lasciato qualcosa in sospeso in ufficio, se è tutto pronto, se ho
avvisato tutti gli interessati per la riunione di lunedì. Sollevo un
po' il cestello per vuotarlo e sento un tonfo. Viene dal piano di
sopra. Subito dopo, un lamento. E’ il vecchio, penso. Il pensiero
si sposta velocemente dalla mia agenda a quella che ormai è la
colonna sonora delle ore che passo in casa, quelle urla e quelle
offese che inizieranno a sentirsi tra poco. Poso il cestello con
l'acqua e le foglie dentro. Dò un altro colpetto al cestello per
farlo girare ma ci metto un po' troppa energia, l'acqua schizza fuori
e mi bagno la manica del maglione. Fanculo. Tolgo le mani dall’acqua.
Le foglie di radicchio continuano a girare nel cestello, per inerzia.
Mi sposto dal lavello verso i fornelli, abbasso la fiamma accesa per
il brodo, mi asciugo con movimenti lenti le mani, tampono un po' la
manica bagnata e mi fermo lì, con lo strofinaccio in mano. Vorrei
continuare le mie faccende ma ho i sensi allertati e il mio umore di
colpo è cambiato. Fisso un punto sul soffitto. Sto lì. Senza
volerlo, sto in ascolto. Sono sei anni che abito qui. A volte si
sentono rumori di qualcosa di metallico che cade sul pavimento, altre
volte, colpi sordi sul muro, ripetuti, che vanno avanti per ore. Il
disturbo maggiore si ha durante la notte, quando il vecchio si
sveglia e chiede da bere, o ha necessità di andare al bagno, o ha
freddo, o la luce accesa gli dà fastidio. Lo lasciano lamentarsi
fino a quando non sopportano più la sua voce, poi a turno, una volta
la moglie, una volta il figlio, lo raggiungono da un’altra stanza
con un passo pesantissimo, urlando contro di lui che è un maiale, un
maledetto, cose così. Il resto dei condòmini c'ha fatto
l'abitudine. Dicono che quand’era in salute il vecchio fosse un
uomo autoritario, che non lasciasse mai uscire di casa la moglie, che
fosse un despota e che, al contrario, avesse una vera e propria
venerazione per la figlia, che ora vive altrove con il marito e due
bimbi piccoli. Raccontano che per diversi anni, durante l’estate,
il vecchio aveva mantenuto l'abitudine di trascorrere qualche giorno
al mare con la figlia, lasciando a casa la moglie. Di suo figlio si
sa poco, pare sia disoccupato. Lui è rimasto a vivere con i
genitori. Lo incontro spesso in ascensore, quando torna con le buste
della spesa da qualche suo giro. Ha superato senz'altro i
cinquant'anni, è un uomo alto, molto pallido, capelli corti scuri e
basettoni lunghi. Ha un addome prominente che arriva prima di lui e
cammina con le punte dei piedi rivolte all'esterno. Non parla mai.
Solo buongiorno e buonasera. Veste sempre allo stesso modo. Nei mesi
estivi indossa solo pantaloni neri e camicia bianca. Quando fa
freddo, veste pantaloni neri, maglione nero, cappotto nero, scarpe
nere. Sia d’estate che d’inverno, dall'alba al tramonto, indossa
occhiali da sole, neri. Dicono che dal giorno in cui il vecchio è
stato colpito da un ictus rimanendo costretto a letto sua moglie si
stia vendicando con lui di ogni torto subìto. E’ impressionante
quanto quella donna sia piccola di statura, decisamente sotto alla
norma, con due occhi chiarissimi che guardano l’uno in direzione
opposta all’altro, uno verso destra e uno verso sinistra, e una
smorfia costante sulla bocca simile a disgusto per qualcosa. Il loro
pavimento, è il mio soffitto. One man's ceiling is another man's
floor. Ciò che ci lega, è ciò che ci divide. Io sento tutto.
Sento che quando la donna è vicina al vecchio, lui urla. Non so
perchè, ma l'attimo prima sta in silenzio, l'attimo dopo, urla. Lei
lo insulta. Lui piange. Arriva il figlio bestemmiando da un'altra
stanza. Si infuria con la madre e prende le parti del padre. Si
insultano. E via così, fino a quando cambiate le lenzuola o portato
il bicchiere o aggiunta una coperta o tolto un cuscino tutto si
acquieta per un po'. Altre volte càpita che sia il vecchio a
lanciare la provocazione. Forse sporca volutamente dappertutto o
rovescia l'acqua sulle lenzuola per costringere la moglie a pulire,
sta di fatto che quando viene lasciato solo per un po' lavora alla
dannazione altrui. Quelle volte, quando entra nella stanza e trova il
disastro, la moglie sfoga la sua rabbia piangendo mentre va su e giù
in corridoio da una stanza all'altra, e parla da sola dicendo che non
ce la fa più, in un sottofondo lamentoso che a un certo punto
esplode nella minaccia di dare fuoco al vecchio. Lui allora, per
tutta risposta, ride. Una risata di spregio, forzata, insistente,
fino a quando non ce la fa più, fino a quando perde il fiato. Allora
tossisce, e piange. Sei anni. Quel corpo in quella stanza sembra non
avere fine. Io detesto i rumori. Non voglio sapere nulla delle altre
famiglie. Invece sono capitata qui sei anni fa, al piano di sotto. La
mia tranquillità dipende dalla loro tranquillità. Il
malfunzionamento di quel corpo determina la mia irritabilità. Il
nostro, alla fine, è un vivere comune, e anche se la struttura
separa i livelli, il mio universo di sentimenti è costantemente
insidiato dal loro. Ho l'abitudine di mettermi a letto presto la
sera, con un libro, e ho usato più di una volta i tappi per le
orecchie per isolarmi dalle loro grida. Volano bestemmie, offese tra
le più pesanti che io abbia mai sentito, gonfie di vecchi rancori.
Mi hanno autorizzata, nel tempo, a immaginare di tutto. L'altra sera
il corpo del vecchio è volato giù dal quarto piano e si è
sfracellato nel cortile condominiale, allora la signora Ernestina
dell'appartamento al piano terra è uscita con la bocca spalancata,
urlante, senza dentiera, le braccia protese in avanti e i palmi delle
mani rivolte verso il corpo a terra, come una delle donne del
Compianto del Cristo morto, il gruppo scultoreo in terracotta di
Niccolò dell'Arca che ho visto nella Chiesa Santa Maria della Vita,
a Bologna, ma con addosso la sua vestaglia in panno morbido color
porpora e la retina rosa nei capelli, e dopo di lei è uscito Mario,
più lento perchè ha dolori alle gambe e non ce la fa e si è
avvicinato dondolante mentre Olindo emetteva dei lamenti e agitava le
braccia accompagnato dal suo fastidiosissimo cane, e sono usciti di
casa anche la signora Lidia e marito a seguito, e i signori del primo
piano con la puzza sotto al naso, erano tutti lì, attorno al
cadavere del vecchio finalmente in pace, chi con le mani sulla testa,
chi con il cellulare per chiamare ambulanza e carabinieri, e anche la
moglie era corsa giù ed era ferma lì, in silenzio, con le mani
chiuse in grembo, e i suoi occhi erano asciutti, come non fosse
successo nulla, sempre con la stessa smorfia stampata in viso, mentre
il figlio affacciato alla finestra guardava giù, e ripeteva un
movimento di sfregamento con le mani. Ho immaginato spesso una fine.
Questa volta però le urla non arrivano. Sento due giri di chiave a
una porta blindata del piano di sopra e poco dopo un suono di
campanello sul pianerottolo. Un breve silenzio. Poi sento parlottare.
Subito dopo qualcuno scende le scale rumorosamente. Suonano alla
porta. Alla mia porta. Vorrei far finta di non essere in casa, potrei
farlo, in fondo che ne sanno di chi c'è e di chi non c'è, e poi,
perchè suonano proprio a me, siamo in tanti in questo maledetto
posto.Vado ad aprire. Mi trovo davanti la moglie del vecchio. Non so
quale occhio guardare. Guardo un punto al centro della fronte. Mi
chiede se posso aiutarla, è sola in casa, suo figlio è uscito e suo
marito è caduto dal letto. Non si agita. Parla piano, con tono
rassegnato e un'espressione mortificata, di quelle esibite al
bisogno. Mi precede e salgo con lei le scale fino al quarto piano con
addosso un senso di stretta allo stomaco, adeguandomi alla sua
andatura che non è veloce come mi aspetterei, vista la situazione.
Arriviamo sulla soglia della porta di casa dove vedo appesa una
decorazione natalizia, di quelle che si vedono appese alle porte
delle abitazioni in questo periodo, in quasi tutte le porte, non
sulla mia. Entriamo nell’appartamento semibuio, lei mi fa strada
attraversando il soggiorno, accende la luce all'inizio del corridoio
e si dirige verso la stanza in fondo, dove c’è già Giuseppe, mi
dice, il vicino che abita con loro al quarto piano, allertato prima
di me. Entro nella camera. E' una stanza grande, dove però c'è solo
un letto piuttosto basso vicino alla finestra, attrezzato solo da un
lato con una sponda di quelle che ho visto nei letti d'ospedale
quando andavo a trovare un parente anziano, e un piccolo tavolo
accanto al letto stracolmo di scatole di medicinali, fazzoletti in
carta da naso usati e appallottolati uno sull'altro, una tazza, un
bicchiere, una bottiglia d'acqua riempita a metà. Si sente appena il
sobbollire del deumidificatore collegato alla presa sul lato opposto
all'ingresso della stanza. La luce, è quella minima di un'abat-jour
posata a pavimento. C'è un corpo a terra accanto al letto, il corpo
di uomo vecchio che non avevo mai visto e che ho sempre immaginato
sofferente. Giuseppe è accanto a lui e gli parla. Lui, si lamenta
piano. Ho paura, la stretta allo stomaco si fa più forte. E' nudo
sul pavimento a piastrelle arancioni effetto cotto, coperto solo da
uno straccio bianco che la moglie, stizzita, gli getta sul sesso un
attimo prima che io possa vedere. Non capisco perchè sia nudo. Forse
lo stava cambiando. Deglutisco, faccio cenno a Giuseppe di prendere
quel corpo inerme sotto le ascelle abbracciandolo, mentre io lo
afferro per le gambe. Il tempo dello spostamento mi sembra eterno.
Stringo senza rendermene conto le mani attorno alla poca carne delle
cosce del vecchio che lancia un grido. Gli ho fatto male. Non riesco
a controllare la mia forza, non so capire come tenerlo. Il vecchio
termina il grido con un lamento lungo, non una parola, solo la
lettera ‘A’ pronunciata lentamente, e ripetuta. E' lo stesso
lamento che sento sempre, da casa mia. Lo riconosco. Sono sei anni
che da casa mia sento quella lettera 'A'. Mi viene da riprovare la
stretta. Premo piano, prima con il pollice, poi con le altre dita,
infine stringo forte. Lui grida di nuovo. Si, è proprio lo stesso
lamento. La moglie urla contro di lui di smettere di urlare. Fingo
compassione. Guardo Giuseppe che mi guarda per le ultime manovre di
appoggio del corpo sul letto. La stanza è umida. Fatico a portare
fino in fondo ogni respiro per quell’odore di mentolo misto a odore
di piscio. Mi manca l’aria. Giuseppe gli solleva il lenzuolo al
petto. Poi fa lo stesso con la coperta. Il vecchio tiene la testa
reclinata verso i vetri appannati della finestra alla sua destra e
guarda il buio con occhi acquosi, l’espressione inebetita. Dalla
bocca storta verso il basso, gli scende una goccia di saliva. Nessuno
parla. Sua moglie ci accompagna alla porta e ci ringrazia, con fare
fintamente cerimonioso. Io e Giuseppe ci salutiamo e non facciamo
nessun commento. Scendo le scale, rientro in casa e vado diretta in
bagno a strofinami le mani con il sapone. Dopo qualche minuto sento
il rumore del motore dell’ascensore che si ferma al piano di sopra.
Un colpo di porta sbattuta. Il figlio è rientrato. Torno in cucina a
finire di lavare la verdura. Questa volta mi arrotolo le maniche del
maglione fin sopra ai gomiti. So che tra qualche giorno la figlia che
vive altrove con la sua famiglia arriverà in visita con i suoi due
bimbetti. Una volta all’anno arriva, per le feste di Natale. In
quei giorni, potrà capitare di incontrare qualcuno di loro in
ascensore e saranno sorrisi per tutti. Alle grida, che dalle finestre
del quarto piano arrivano normalmente fino al parcheggio, si
sostituiranno amabili conversazioni sul terrazzo, risate di bimbi,
corsette e scherzi tra la nonna e i suoi nipotini senza il minimo
screzio tra la moglie del vecchio e suo figlio. Lo scandalo delle ore
notturne non avrà modo di compiersi, l’orrore verrà seppellito
con grazia, nulla di ripugnante si svelerà a figlia e nipoti in
visita. Inizio a sminuzzare lo scalogno per il soffritto e penso che
sto aspettando l'arrivo di quei giorni, sto aspettando che arrivi la
figlia del vecchio. Saranno giorni di quiete, per tutti. Vorrei
pagarla, perché venisse più spesso, ma quella stronza si fa vedere
solo a Natale.
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