dietro le quinte 2017 - 1

ieri mattina sono uscita di casa verso le 8.00. ho percorso a testa bassa come sempre il vialetto che porta al parcheggio delle auto e una volta arrivata al marciapiede ho alzato la testa perchè avvertivo una presenza. la presenza c'era in effetti, era lì, lì dove stava quando ne scrivevo e faceva quello che ha sempre fatto e per cui ho iniziato a scriverne. ho tenuto lo sguardo puntato sul terrazzo bianco al primo piano della palazzina di fronte al parcheggio fino a quando mi è stato possibile, fino a quando ho dovuto proseguire per raggiungere la mia macchina. volevo accertarmi che fosse lui, che non si trattasse di qualcun altro al posto suo, con la stessa posa, con la medesima immobilità. con un misto di commozione, gioia, stupore e vergogna, vergogna in primis perchè ho sentito qualcosa, ho constatato che sì, era proprio lui, sul terrazzo bianco al primo piano della palazzina di fronte alla mia stava fumando l'uomo che io credo sia meridionale, quel luchi cresime che mi aveva abbandonato, per cui non sono più riuscita a scrivere ogni giorno. luchi è tornato, mi sono detta, ma dove è stato tutto questo tempo, mi chiedevo mentre mettevo in moto la macchina, e soprattutto, cosa farà ora qui, ogni giorno?

d i n o t t e

cerco con i piedi le parti fredde delle lenzuola, ma le zone del letto incontaminate dal calore del corpo si esauriscono presto. sono stesa prona. non trovo più ristoro in nessun punto, così fuoriesco con le gambe lateralmente dalla trapunta. una volta fuori dalle coperte tocco con le punte delle dita dei piedi la pediera del letto in legno, per sentire il freddo anche lì. non mi basta. faccio una torsione all'indietro del braccio sinistro e con la mano afferro un lembo della trapunta che mi copre fin sopra le spalle. riesco a scoprirmi fino a metà schiena, poi torno per un attimo con le braccia lungo il corpo. guardo i numeri della sveglia elettronica. sono quasi le tre del mattino. fino a un attimo fa dormivo. ora sono irrimediabilmente sveglia. il caldo non accenna a diminuire così esco da sotto alle coperte anche con le braccia, mi arrotolo le maniche della maglia fin sopra ai gomiti e giro il cuscino sottosopra per cercare il contatto con la parte fredda, quella che non porta memoria della mia testa che ora è diventata bollente e pulsa, come sono bollenti e pulsano la schiena, il collo, il viso, tutta la mia pelle scotta, un calore che vuole evadere dalla gabbia-corpo. volto ancora il viso per avere anche sull'altra guancia la sensazione del fresco della federa del cuscino. il pezzo di pelle tra il naso e la bocca suda di più. lo asciugo. sento il freddo della stanza che poco a poco mi si posa sopra. lo accolgo per una manciata di secondi ma si fa subito intenso e il contrasto caldo/freddo si fa irritante soprattutto sulla schiena, così inizio a rientrare con le gambe e con i piedi, poi faccio lo stesso con le braccia e con il busto. mi calmo un po'. tengo ancora gli occhi chiusi ma sento un bruciore sotto alle palpebre, il bruciore di quando ho sonno e non dormo, di quando le due fessure oculari sembrano particolarmente secche e il movimento delle pupille produce una sensazione di attrito. desidero dormire ma ora sento freddo, sempre più freddo, un freddo diffuso, dappertutto, sullo stesso corpo che pochi minuti fa era un vulcano in eruzione. chiudo bene le coperte sul lato esterno del letto, avvicino la trapunta più possibile a contatto con la schiena in modo che non passi aria, mi copro fin sopra alla testa, mi raggomitolo e mi metto su di un lato in posizione fetale. sto lì. sono tutta sotto alle coperte ma realizzo presto che ho ancora le maniche della maglia con cui dormo arrotolate fin sopra ai gomiti, così le srotolo fino ai polsi e mi rimetto in posizione. sento qualche brivido. e come ogni volta che sento freddo stando sotto a uno strato considerevole di coperte non riesco a non pensare a chi sta per strada, coperto da cartoni, se va bene da un sacco a pelo. se fossi per strada che farei, mi dico, come sopporterei il freddo? allora provo ad allungarmi e a rilassare il corpo, e mentre mi muovo il pensiero torna all'immagine dei due senzatetto, un uomo e una donna, che ho visto su un marciapiede a Londra seduti appaiati su due sacchi a pelo preparati come un letto matrimoniale, nel mezzo di un via vai caotico di persone che senza problemi ci giravano attorno. evidentemente scaldati dai fumi dell'alcool hanno richiamato con delle grida un ragazzotto che passava loro davanti, offrendogli il cartone con la pizza che probabilmente qualcuno aveva donato loro. il ragazzotto senza fermarsi ha preso al volo il cartone e continuando la sua marcia ha iniziato a mangiare pezzi di pizza. nell'andarsene ha ringraziato con un gesto della mano i due senzatetto, che hanno riso forte e salutato nella sua direzione. ma non è di questo che volevo scrivere. il mio corpo sul letto. di questo volevo scrivere. il mio corpo sul letto che non dorme e non riposa. anche il respiro cambia con il variare della temperatura. è come se andassi a pescare ogni respiro dal punto più profondo del torace, per tirarlo fuori e sostenere il peso del disturbo a quanto pare inevitabile fino al successivo momento di tregua. è uno scompiglio quotidiano. uno scompiglio e un obbligo al movimento. il movimento è anche degli occhi. non riesco a rimanere con gli occhi chiusi, li apro sul buio, sul soffitto, che non vedo ma so che c'è, sul lampadario che non vedo ma so che c'è, li tengo aperti sulla finestra, che pure non vedo ma so che c'è, come so che ci sono l'armadio con i vestiti e la biancheria intima, il comò per le lenzuola e gli asciugamani più grandi con sopra il leggìo e il fumetto di Vanna Vinci, il comodino con il libro di Daniele Del Giudice che sto leggendo e quello di Beckett e quello di Piovene e quello di Bernhard e quello di Gogol e un volume sulla poesia del Novecento, e gli occhiali, l'astuccetto con le due matite, la vetrina in noce scuro con all'interno le sciarpe e i cappelli, le collane, qualche foto, le spille, la scrivania con le lenti di ingrandimento, la colonnina con sopra la scultura africana, lo specchio, il ritratto che mi fece Paolucci, il mio quadro di Genova 2001, la marina di Massimo, il quadro della Tanzania regalo di Claudio, il gabbeh sotto alla scrivania e i due yastic come scendiletto, la poltroncina con sopra due paia di jeans, la sedia con appoggiata una felpa. e un corpo adagiato sul letto, pesante di un peso superiore al suo peso.  

t r e n t u n d i c e m b r e

ho con me il libro. che è un libro. l'ho scelto tra altri che stanno nelle librerie piccole bianche. le librerie bianche da qualche giorno ospitano libri alla rinfusa. non riesco più a metterli in un ordine che possa essere sensato, perchè ne ho aggiunte tre e ho fatto degli spostamenti per esigenze di spazio dalla libreria grande a quella in studio a quelle in corridoio, così non so più bene dove sono i libri che cerco. però questo l'ho trovato subito, perchè alcuni autori so sempre dove sono, e t.b. era lì, dove pensavo che fosse. l'ho scelto perchè ho terminato la lettura di un altro suo e voglio tornare sulla sua scrittura. mi sono sistemata sulla poltrona verde con al collo la coperta blu in ciniglia perchè da quando ho tagliato i capelli corti sento freddo alla nuca, ma appena seduta, nell'aprire il libro e iniziarne la lettura, ho pensato che avevo voglia di bere qualcosa di caldo. mi sono alzata di scatto dalla poltrona verde, ho appoggiato il libro sul bracciolo destro, mi sono diretta ai fornelli per prepararmi un tè. ho prelevato un pentolino dallo stipetto della cucina e l'ho riempito d'acqua fino all'orlo (e mentre la vita testuale della lettrice in poltrona prende corpo, la segreteria telefonica dell'ufficio mi avvisa che c'è un messaggio che ascolto, distraendomi per un paio di minuti dalla scrittura) poi l'ho messo sul fuoco. ho scelto una bustina di tè nero al mango e vaniglia. la carta della bustina che ho scelto è gialla, ma nella scatola che contiene altre bustine di tè, regalo di cristina, ci sono altri colori che corrispondono ad altri aromi, come frutti di bosco, arancia, tè verde. sono tornata alla poltrona e mi sono seduta. ho preso il libro in mano per la seconda volta e ho tergiversato un po' sulla quarta di copertina, pensando che non era però il caso di attendere che l'acqua arrivasse al punto di ebollizione per iniziarne la lettura, così l'ho aperto sulla pagina di inizio. nello stesso istante in cui ho lanciato un'occhiata all'incipit, ho sentito il desiderio di scaldarmi un po'. ho riappoggiato il libro sul bracciolo destro della poltrona verde, mi sono alzata nuovamente e sono andata in camera a prendere quella che chiamo la 'rotella' ovvero uno scaldino in metallo a forma di disco piuttosto spesso, che se caricato a corrente per almeno tre o quattro minuti rimane caldo per ore. ho messo in carica la 'rotella' sulla presa di corrente a fianco al televisore e sono tornata a sedermi sulla poltrona verde, ma l'attimo dopo che mi trovavo seduta ho sentito il sobbollire dell'acqua nel pentolino, così mi sono alzata per la terza volta dalla poltrona verde e sono andata a spegnere il fuoco del fornello acceso per il tè. ho sistemato il filtro di tè nero al mango e vaniglia all'interno di una tazza bianca e ho versato lentamente l'acqua bollente al suo interno, dopodichè sono tornata alla poltrona. la poltrona verde non è molto comoda. più che altro quando appoggio qualcosa, libri, occhiali, matita, sui braccioli devo stare attenta ai movimenti che faccio perchè mi cade sempre un pezzo, essendo i braccioli piuttosto stretti. il libro di t.b. che voglio iniziare a leggere ha dimensioni ridotte. sono quattro racconti di cui non ho mai terminato la lettura al tempo in cui l'avevo iniziata all'incirca un anno fa. mentre sfoglio il libro senza leggere ancora nulla, alzo la testa e vedo che la spia rossa della 'rotella' si è spenta, segno che posso toglierla dalla presa di corrente e inserirla nel suo involucro in tessuto di pile arancione con cerniera, che serve a non ustionarsi con il metallo caldo. mi alzo ancora dalla poltrona verde e procedo con le operazioni dello scaldino. con la rotella sistemata sotto al braccio mi dirigo alla tazza bianca per togliere il filtro del tè, lo getto nella spazzatura e poi finalmente mi risiedo in poltrona. non ho ancora posato la tazza a terra a fianco della poltrona che avverto ancora una cosa che non mi lascia in pace (fuori dalla vita testuale della lettrice ora in poltrona suona il telefono e guardo il display: è un numero che non conosco e non rispondo): vedo che nel togliere la spina dalla corrente e prelevare la 'rotella' non ho riavvolto il filo al solito modo, e non l'ho messo sulla cassapanca ma l'ho lasciato a terra, sopra al tappeto. mi alzo ancora dalla poltrona verde. vado verso il filo a terra e lo attorciglio in tondo, poi lo poso sulla cassapanca, così sono sicura di trovarlo, dovesse servirmi ancora, dovessi protrarre la lettura fino a sera. sento gli occhi un po' stanchi, perchè ogni operazione l'ho svolta tenendo leggermente inclinata verso il basso la testa e guardando oltre, perchè indosso occhiali da lettura che mi fanno vedere offuscato tutto quanto mi sta attorno, tutto quanto non siano le parole che leggo. mi risiedo con voglia di riposo sulla poltrona verde. ho tutto. la tazza di tè nero al mango e vaniglia posata a terra a fianco della poltrona sul lato sinistro, la coperta in ciniglia blu sul collo, la 'rotella' trattenuta tra le gambe all'altezza delle ginocchia, gli occhiali sul naso, il libro di t.b. appoggiato al bracciolo destro della poltrona. ora: se bevo il tè caldo con addosso gli occhiali mi si appannano le lenti, perchè soffio sulla tazza e il vapore sale verso il viso, così decido di toglierli e di appoggiarli sul bracciolo sinistro della poltrona. prendo la tazza da terra facendo attenzione a non far cadere gli occhiali dal bracciolo sinistro e inizio a sorseggiare il tè. tengo lo sguardo fisso a terra davanti a me, oltre i miei piedi, sui disegni del bukara pakistano che mi ricordano la stanza dove si trovava questo grande tappeto nella casa di famiglia, il tavolo lungo in noce scuro dove studiavo, i mobili attorno, il pianoforte che non ho mai suonato, i quadri appesi. sento un caldo improvviso partire da dentro al torace, salire verso il collo e invadermi il viso, un calore che fatico a sopportare rimanendo ferma. appoggio a terra la tazza di tè dov'era prima, sul lato sinistro della poltrona verde. le vampate dovute a menopausa iniziate da qualche mese non mi danno tregua, neanche di notte, e quando il calore finisce rimango con addosso una sensazione di freddo e di quasi stordimento. sto assumendo da qualche tempo un integratore a base di estratti di salvia e griffonia, quella specie di fagiolo africano che dovrebbe aiutare la mia psiche in questo procedere del corpo verso la vecchiaia tra un incendio e l'altro. tolgo la 'rotella' da in mezzo alle gambe e la poso a terra, sposto la coperta in ciniglia blu dal collo e la appoggio allo schienale della poltrona verde, ma l'ondata di calore si propaga anche alla schiena così scaravento con rabbia la coperta sul divano accanto alla poltrona verde e lancio un calcio alla 'rotella'. del resto, mi dico, l'integratore con estratto di griffonia è un prodotto omeopatico, ci vuole tempo. mi arrotolo le maniche del maglioncino fin sopra ai gomiti. sudo. sto lì. tra un po' so che avrò freddo e tornerò a mettere la coperta in ciniglia blu sul collo, mi farò scendere le maniche del maglione ai polsi e vorrò avere di nuovo tra le gambe lo scaldino. raccolgo con rassegnazione la tazza da terra e finisco di bere il tè. la riappoggio a terra, sempre sul lato sinistro della poltrona verde, indosso gli occhiali e finalmente inizio la lettura di 'Goethe muore': "La mattina del ventidue Riemer mi raccomandò, nell'imminenza della mia visita a Goethe fissata per l'una e mezzo, di parlare per un verso sottovoce, per l'altro tuttavia non troppo sottovoce nel rivolgermi all'uomo che ormai si diceva semplicemente fosse il più grande della nazione e nel contempo anche, a tutt'oggi, il più grande in assoluto fra i tedeschi mai esistiti, certe cose egli infatti le udirebbe adesso con una chiarezza che addirittura sgomentava, altre invece...". eccolo qua: il trionfo della virgola.