Era fermo al binario, seduto sul lastricato bollente, quando il
rumore improvviso di una frenata gli fece alzare d’istinto le
spalle ed abbassare la testa. Vide per un attimo tra la folla le
calzature a punta di una donna, simili a pantofole di foggia
orientale, che lasciavano scoperto tutto il tallone. Ne scrisse
qualche riga sul suo taccuino che richiuse in fretta all’arrivo del
treno. Salì e trovò un posto accanto al finestrino. Si sistemò
comodamente poiché c’erano solo lui e il suo zaino in quei quattro
sedili. Non era riuscito a lavare i suoi jeans quella settimana,
puzzava come una panchina dei giardini pubblici, e lo strato di unto
che notò sul finestrino non faceva che amplificare quella sua
sensazione di disagio. Stava tutto allungato occupando due posti
mentre sentiva la stanchezza colonizzare senza indugio intere parti
del suo corpo, e guardava fuori dal finestrino. Il treno si mosse
presto e iniziò la sua corsa. Ogni volta che tornava con lo sguardo
al finestrino c’era sempre qualcosa fuori che ostacolava la vista
sull’orizzonte. Lavori in corso ovunque. Aprì per la seconda volta
il suo taccuino e ne scrisse qualcosa. Arrivato a destinazione scese
dal treno e nonostante la stanchezza decise di fare un tratto di
strada a piedi e di prendere l’autobus più avanti. Dalla radio del
bar all'uscita dalla stazione arrivava la voce di Manu Chao che
cantava Clandestino.
Era lo stesso tratto di strada che aveva percorso
con lei quella sera che stranamente aveva accettato un invito a cena
a casa sua. La città brillava di una luce gialla che come sempre a
quell'ora si depositava piano, l’asfalto emanava calore, il
traffico non era più quello delle ore di punta. Erano saliti sul
treno, e durante il viaggio le aveva accarezzato la mano per un po',
poi aveva smesso, poiché non aveva ricevuto un segnale vero, deciso,
di complicità. Appena scesi dal treno lei gli aveva chiesto di
fermarsi al bar della stazione per prendere una bottiglietta d’acqua,
e aveva voluto sedersi ad un tavolino all’esterno per qualche sorso
e una sigaretta. Per rifiutarlo
aveva atteso di spegnere la sigaretta, si era voltata verso di lui e
gli aveva detto che non voleva proseguire, che aveva cambiato
idea. Lui le aveva detto che si sarebbe stupito del contrario, che
non c'erano problemi e che l'avrebbe riaccompagnata a casa in
macchina. Così avevano fatto un pezzo di strada a piedi, verso la
macchina. Lui si era fermato ad allacciarsi una scarpa a metà del
ponte che attraversava il fiume, guardando in direzione del centro.
“Allora ti riporto a casa, sei sicura?” le aveva detto. Lei aveva
annuito con un sorriso di scuse. Anche allora, prima di salire in
macchina, aveva estratto il suo taccuino e ne aveva scritto qualcosa.
Poi erano partiti. Durante il viaggio erano rimasti a lungo in
silenzio. Lui aveva tentato di farla ridere dicendole che si era
persa un'ottima mozzarella con due pomodori quella sera, ma aveva
avvertito tensione in lei, e poca voglia di divertirsi. Per ingannare
il tempo e spezzare quel silenzio aveva chiamato un amico al
cellulare e gli aveva raccontato la sua situazione, dicendogli che
stava in macchina con un'italiana che non ci voleva stare con lui
quella sera, e che doveva pure spendere i soldi della benzina per
riportarla a casa. Aveva potuto farlo poiché sapeva che lei non
capiva la lingua araba. Erano arrivati a destinazione in circa
quaranta minuti. Lei aveva voluto scendere in una strada secondaria,
a un paio di chilometri dal centro. Avrebbe continuato a piedi. Lo
aveva ringraziato senza nemmeno un bacio e da quel momento non
l'avrebbe vista più.
Il suo cellulare vibrò nella tasca. Era un
messaggio di una sua amica. Lo lesse senza emozione e riprese a
camminare accelerando il passo verso l’autobus che stava per
partire. Passando per il centro vide tra i cartelloni pubblicitari
un’immagine di donna ricurva su se stessa immersa in una luce blu.
Scese alla fermata dell’autobus, e in pochi minuti fu a casa.
L’androne del palazzo dove abitava era completamente al buio.
L’amministratore non aveva ancora mandato l’elettricista a
riparare il guasto. Un po’ di luce sarebbe penetrata ancora per
poco dall’unica finestra sul giro scala, ma a lui importava poco,
si muoveva bene al buio. Divideva l’appartamento con un suo
connazionale che nel tempo libero rimaneva in casa davanti alla tv,
spesso dormicchiando, e che doveva sparire ogni volta che lui si
portava a casa qualche nuova conquista. Appena entrato in casa gli
passò davanti senza svegliarlo, scavalcando cartoni di pizza vuoti
ammonticchiati sul tappeto, e si infilò direttamente in bagno per
una doccia. La stanchezza prevalse presto sulla fame. Steso sul letto
rimase in ascolto del suo corpo che lentamente si arrendeva al sonno.
Si sporse un’ultima volta verso il pavimento per bere un sorso
d’acqua fresca, e con la mano inciampò sul suo taccuino poco più
in là del bicchiere. Lo riaprì per cercare qualcosa. Rilesse anche
il messaggio sul cellulare.
Dormiva già.
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