In quell'anno, a cavallo
tra il 1984 e il 1985, Basaglia insegnava in compresenza con Luciano
Zarotti. Zarotti dava consigli tecnici a chi li chiedeva, era sempre
presente e spesso gironzolava per le ampie stanze al primo piano
della scuola fischiettando qualche aria di Mozart. Io non chiedevo
mai niente, perchè ovviamente non ne avevo il coraggio, ma ascoltavo
tutto. Arrivavo lì e lavoravo tutto il tempo arrotolando fogli
disegnati uno sull'altro.
La modella che preferivo era piuttosto
formosa, non proprio giovanissima, teneva i suoi capelli neri
raccolti in uno chignon morbido e aveva la pelle molto chiara.
Arrivava in pedana al centro dell'aula riscaldata in accappatoio
rosso, camminando lentamente, con ai piedi ciabattine rosa. Si
toglieva l'accappatoio e le ciabatte con naturalezza e si metteva in
postazione. La pedana che la ospitava era un cubo di legno piuttosto
grande, alto circa un metro, con sopra un materasso o comunque una
superficie imbottita e dei cuscini. La sua posizione era per
settimane la stessa, per permettere a chi dipingeva di ritrovare
anche a distanza di una settimana la stessa inquadratura. Ognuno
poteva scegliere la posizione che voleva, e cambiarla anche più
volte in un giorno, per ritrarla da davanti, di lato o da dietro.
Spesso quando Basaglia arrivava in aula si sedeva con lei in pedana,
per salutarla e scherzare un po'. Quando non c'era lei la sostituta
era una donna magra, con i capelli lisci di colore biondo scuro
lunghi fino alle spalle, la carnagione ambrata, le labbra grosse con
rossetto. I disegni che realizzavo di lei non mi soddisfacevano mai.
La mia mano non trovava gusto se non c'era carne in abbondanza. I miei compagni di corso
erano persone molto diverse tra loro, per età e formazione. Inoltre
la scuola era aperta anche ad artisti da fuori che spesso venivano a
trovare Basaglia e il suo cane, e stavano lì a dipingere. Insomma,
c'era sempre un via vai di gente. Nella pausa pranzo uscivo a fare
due passi e a volte, ma non sempre, mangiavo un panino all'unico bar
che c'era nei dintorni della scuola, mentre i fedelissimi di
Basaglia, rimanevano con lui in aula e mangiavano qualcosa assieme.
Successe solo una volta, verso la metà dell'anno accademico, che mi
convinsero a fermarmi con loro a pranzo. Accettai con la gola secca.
Ricordo che ero seduta alla sinistra di Basaglia, il quale mi guardò
e mi chiese con quale affettato volevo che mi facesse il panino. Devo
essere arrossita fino ai piedi per rispondere. Con le sue mani prese
il pane (non rese grazie) e mi fece il panino. Me lo diede sempre con
il suo sguardo serio, e mi disse 'magna, che te si magra!'. Poi ci
guardò tutti e disse ridendo che sembravamo all'ultima cena. Dopo
quella volta cominciai a sciogliermi un po'. Feci un po' di amicizia
con Sabrina, che aveva più o meno la mia età ed era iscritta
all'accademia, al corso di decorazione. Parlavo con Maria, un'anziana
pittrice che abitava dalle mie parti, amica di Basaglia. Lei mi
diceva che avevo 'manina'. Ma la diagnosi me la fece Zarotti, un
giorno che si avvicinò al mio cavalletto, guardò me e il mio
disegno, e mi disse: 'la timidezza, dono divino nelle colombe, in
arte è peccato mortale'. Non sortì un gran cambiamento in me.
Verso fine anno (estate) le
giornate si erano allungate, non c'era più l'incubo nebbia da tenere
sotto controllo per il ritorno in vaporetto. In quelle settimane di
tempo buono incontravo spesso Basaglia in vaporetto all'andata, al
mattino. Era diventato costume scendere a sacca fisola e dirigersi
automaticamente al bar, io e lui, ordinare un rosso, berlo in
silenzio e poi procedere verso la scuola. Fortunatamente non ho
mantenuto quell'abitudine, una volta finito il corso. Conservo ancora
da qualche parte le foto del pomeriggio della festa di chiusura
dell'anno, in estate. Avevamo realizzato un murales che dovrebbe esserci ancora
su una parete esterna della scuola e rappresenta un cumulo
coloratissimo di immondizie, con il particolare di un topo che corre
in alto a sinistra. Nelle foto si vede la lunghissima tavolata
allestita nei giardini antistanti la scuola. Ricordo che c'era
un'atmosfera da sagra di paese, con la presenza chiacchieratissima di
un presunto gigolò veneziano che faceva bella mostra di sè
passeggiando sull'erba, uomo senza dubbio attraente, un po'
tenebroso, con capello un po' lungo, barba brizzolata e sigaro
profumato. Durante quella festa, sapevo già che non avrei proseguito
con gli altri due anni. Mi era stato concesso un vero lusso. Quella scuola non dava alcun diploma, e io dovevo iniziare
a pensare a qualcosa di concreto. Continuai però a disegnare e a
dipingere per altri vent'anni.
fine seconda parte
Sono Zarotti, salve.... ho letto il Suo racconto, "simpatico"
RispondiEliminasolo per corretezza Basaglia era il mio assistente. La frase da me detta era una citazione ... la diceva Mancini, grande pittore Italiano. ciò non vuole dire e non voleva dire che Lei non fosse capace di creatività, solo di dare più energia. al lavboro..... grazie e auguri. Luciano Zarotti.
Zarotti buongiorno, che sorpresa però! Grazie per le precisazioni, doverose direi. Quella citazione di Mancini detta a me da lei l'ho ricordata spesso, negli anni, come un mantra. Conservo ancora una dispensa sui colori con copertina azzurra che lei ci aveva fornito, e se non sbaglio, quella frase è riportata anche lì ... andrò a verificare stasera. Io l'ho intesa allora come l'indicazione di un mio limite caratteriale prima ancora che artistico, ed evidentemente non ho saputo elaborare in modo intelligente. Sarebbe stato bello e utile che io avessi avuto almeno la forza di lavorarci su in modo consapevole...ma questa è un'altra storia. Non so se lei abbia letto tutti gli appunti, in ogni caso quello per me è stato un anno memorabile. Grazie ancora di aver letto, e di aver detto.
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