appunti 2

(un piccolo passo indietro)
a 13 anni, dopo la scuola media, avevo espresso la volontà di iscrivermi al liceo artistico, ma i miei genitori si erano spaventati all'idea. "sei piccola! dovresti andare a Treviso in corriera o in treno! stare fuori da sola! c'è la droga! non se ne parla!". mi dissero chiaramente che potevo scegliere tra le tante scuole che c'erano nella mia cittadina, purchè non fosse un liceo "perché poi non hai niente in mano, guarda tuo fratello...". non rimaneva che iscrivermi all'istituto magistrale, che allora era una scuola privata cattolica. suore. quattro anni di prigionia. durante quel periodo avevo messo un po' da parte la mia passione per la pittura e il disegno. praticavo molto sport. avevo buonissimi voti ma coltivavo gelosamente il mio 8 in condotta, che dalle suore equivaleva ad uno scandalo.  il quarto anno mi tornò fuori quella cosa che avevo creduto di aver seppellito, e andai in crisi. tagliai i ponti con tutte le amicizie, nessuno di loro amava l'arte. presa la maturità pensai di essere libera, e anziché iscrivermi al quinto anno integrativo, previsto per chi vuole accedere all'università, dirottai i miei passi alla scuola libera del nudo. fu l'anno più bello della mia vita. posso dirlo. ma alle mie spalle incombeva la disapprovazione familiare ed io non avrei saputo gestire questa cosa, e non avevo nessuno che avesse voglia di consigliarmi una via.  
durante quell'anno alla scuola libera del nudo avevo saputo che con i dovuti permessi si poteva entrare nell'aula di pittura dell'accademia di venezia. la cosa mi incuriosiva parecchio, volevo varcare quella soglia, volevo entrare in aula durante l'ora di lezione. non senza i soliti timori decisi di procurarmi il permesso e di andare in visita. ricordo ancora com'ero vestita quel giorno. mi accorsi di com'ero vestita guardando com'erano vestiti gli altri. mi accorsi di com'erano i miei capelli guardando i capelli degli altri. io lì dentro ero un alieno. ho attraversato il cortile interno per raggiungere l'aula con passi regolari, uno dopo l'altro, come normalmente si fa per camminare. ma nella mia testa ero un blocco di cemento che non si muoveva. le gambe erano pesantissime, il collo rigido, gli occhi sbirciavano intorno ma la testa rimaneva piegata verso il basso. quel cortile non finiva più. la tentazione di fare marcia indietro era sempre più forte, ma la mia timidezza era così devastante che mi impediva anche la fuga. mi ritrovai dopo un tempo che mi sembrò eterno di fronte alla porta dell'aula di pittura. bussai alla porta e aspettai. non venne nessuno ad aprire. pensai per un attimo di aver sbagliato porta, ma dai finestroni vedevo all'interno persone al lavoro. respirai a fondo e abbassai la maniglia per entrare. quell'odore buono di smalti e vernici, olio di lino, tempera, trementina e colla era subito lì ad accogliermi. finsi di non essere commossa e continuai ad avanzare camminando dove era possibile non inciampare su fogli arrotolati, scatole, cavalletti, gessi, blocchi di marmo, barattoli e tavoli. i soffitti erano altissimi. l'aula era disposta su piani sfalsati. la luce era bianca ed entrava dai finestroni perimetrali. era un po' nascosto in fondo Carmelo Zotti, era lui che teneva la cattedra di pittura quell'anno. andai a stringere la mano a quell'omone enorme che sorrideva con gli occhi e scambiai con lui alcune frasi di convenienza. mi disse che potevo fare quello che volevo, che mi accomodassi pure. nell'immediato non seppi fare altro che togliermi il cappotto e sedermi sopra ad un tavolo. dondolavo le gambe e mi guardavo attorno. sentivo la presenza ingombrante delle mie scarpe di vernice nera tipo inglese, dei miei pantaloni a sigaretta a quadri scozzesi rossi e blu, del mio maglioncino firmato modello maschile blu, dei miei capelli biondi lunghi e lisci con una frangetta ben pettinata. ero molto magra ma avrei voluto esserlo fino a sparire. rimasi lì per un po' a guardare una ragazza che dipingeva su un foglio grande fissato con puntine da disegno su una tavola inclinata. capelli rasta raccolti in modo sommario, orecchino sul naso e tutona grigia senza una forma definita. ero ipnotizzata a guardare il suo polso. lo usava per dipingere in un modo che non avevo mai considerato. lo faceva ruotare sul foglio tenendo in mano un pennello di media grossezza. la punta del pennello tracciava dei filamenti pastosi che a tratti si richiudevano in forme concentriche irregolari. questi che erano simili a dei contorni avevano una tonalità biancastra, poco più scura del foglio stesso, ma visibile. la ragazza segnava il foglio quasi danzando con il corpo. la vedevo parlare senza che muovesse la bocca. era tutta lì, per la pittura, si consegnava completamente, non solo con la testa. dopo un po' Zotti mi invitò a fare un giro per l'aula, così con fatica mi schiodai da quel tavolo e cominciai ad intrufolarmi tra i cavalletti. ero lì per guardare cosa facevano gli allievi del corso di pittura all'accademia di belle arti di venezia. per quanto il mio corpo tentasse ancora di ritrarsi da quella situazione, il cuore andava a mille, la pelle che segnava il confine del mio viso era bollente e io desideravo. desideravo esserci. desideravo che i miei giorni fossero fatti di momenti come quello, desideravo stupirmi nel vedere cosa facevano gli altri corpi, cosa producevano le altre mani, come si muovevano. desideravo quell'odore per tutta la vita. desideravo desiderare.
da quel giorno cominciai a fantasticare sulla possibilità di entrare all'accademia. non riuscivo a pensarmi in altro modo. tutti i miei sensi erano pronti per vivere la pittura. ma il mio percorso scolastico non era adatto all'iscrizione diretta. avrei dovuto sostenere un esame di ammissione, un esame che sapevo durava una decina di giorni, con prove scritte e orali su tutte le materie, e prove pratiche di disegno dal vero, architettura e prova libera.  
 
fine terza parte

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