appunti 3

"all'accademia? e poi cosa farai nella vita, la pittrice? e tu pensi di mangiare facendo la pittrice?" questa fu la colonna sonora dei miei giorni di preparazione all'esame di ammissione. da un lato i miei genitori mi buttavano giù, dall'altro vollero darmi la possibilità di prendere qualche lezione di disegno tecnico da un'insegnante che aveva avuto mio fratello al liceo scientifico. ma fu una farsa. lei non aveva alcuna voglia di insegnarmi quello che avrei voluto imparare. andai a casa sua tre volte e poi mi feci dare una bibliografia minima, pensando fosse possibile prepararmi da sola, cosa che capii presto non sarebbe mai accaduta. fingendo che il problema non ci fosse presi in mano la storia sociale dell'arte di Hauser e mi misi a studiare durante i mesi estivi. avrei sostenuto l'esame lo stesso, in settembre. avrei avuto il tempo, in caso di fallimento, di iscrivermi all'anno integrativo e iniziare a pensare all'università. non conoscevo nessuno con cui poter avere uno scambio. studiavo, disegnavo, e per la prova di architettura non feci più nulla. era chiaro che l'esame non l'avrei passato, e ancora oggi non capisco cosa mi avesse fatto sperare il contrario.
la prova scritta di storia dell'arte poteva toccare qualsiasi argomento, dalle origini al novecento. non male come programma, considerando che nei quattro anni di scuola superiore la storia dell'arte non era stata certo una materia approfondita. tra i tre titoli proposti scelsi di scrivere sullo stile gotico. delle prove orali non ricordo nulla. mi pare di aver risposto a domande sulla letteratura italiana, sulla geografia astronomica, sulla storia dell'arte e su qualcos'altro ancora. la prova di copia dal vero portò con sé una piccola emozione, ma a scoppio ritardato. ero nella mia postazione, con il mio foglio fissato ad una tavola, intenta a disegnare. entrò in aula un signore altissimo, magro, leggermente curvato in avanti, barba lunga, capelli raccolti in una coda, occhiali neri con montatura grossa. quando arrivò da me guardò il mio disegno e con un gessetto fece qualche segno sul bordo del foglio, come se stesse facendo un discorso tra sé. poi se ne andò dall'aula. chiesi chi fosse quello che era uscito e aveva scarabocchiato il mio foglio. era Emilio Vedova. per la prima volta associai la sua faccia ai suoi quadri. la prova di architettura furono tre giorni di pena. si doveva progettare un padiglione per la Biennale Internazionale d'Arte di Venezia. non si poteva uscire dall'aula prima di aver indicato nel foglio timbrato tutte le fasi del progetto che si intendeva sviluppare nei tre giorni a disposizione. finito il calvario di quei tre giorni in cui tentai l'impossibile era il momento della prova libera. l'ultima prova. un bambino alla scuola elementare avrebbe fatto meglio. ricordo che usai addirittura un colore mai usato, nè prima nè poi. il viola. non sono mai riuscita a lavorare con il viola.
tornai a venezia quando uscirono i risultati per vedere con i miei occhi sul tabellone la mia sconfitta. le prove scritte e orali di cultura generale erano più che sufficienti. le prove pratiche, tutte insufficienti. non ero passata. tornai alla stazione per prendere il treno, ma non salii sul primo che partiva, aspettai quello successivo. rimasi circa un'ora seduta sugli scalini della stazione a guardare la gente che andava avanti e indietro. poi tornai a casa. il giorno dopo, febbre a 38.
 
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