appunti

Guardando ieri una splendida foto-ritratto - scattata da Francesco Barasciutti - di Vittorio Basaglia, unico mio Maestro, da cui ho preso lezioni di nudo, che ha dato l'impronta estetica a tutto il mio immaginario in pittura, pensavo che allora ero giovane e non capivo niente. avevo paura della mia ombra, mi nascondevo, sentivo solo una roba dentro quando disegnavo o usavo il colore, e mi sembrava di rubare il tempo alle cose 'utili' della vita. ho distrutto e buttato via tutti i disegni di quell'anno favoloso, fogli grandi e piccoli, prove, percorsi della mia mano incerta, disperata, innamorata, su carta odorosa. 
avevo 18 anni. i miei giorni 'vivi' erano tre, nella seconda metà della settimana. prendevo il treno per venezia al mattino, arrivavo alla stazione e mi dirigevo a prendere il vaporetto per sacca fisola, detta l'isola 'dee scoasse'. scendevo e percorrevo a piedi poca strada per arrivare allo stabile che ospitava 'la scuola libera del nudo', un distaccamento dell'accademia di belle arti, e lì rimanevo con altre 11 o  forse 12 persone fino alle sei di sera circa. poi tornavo in vaporetto, una ventina di minuti, poi in treno, circa un'ora, e poi a casa, altri venti minuti a piedi. il treno delle sette e mezza di sera era ancora di quelli con i sedili in legno. bellissimo. ricordo che la strada di ritorno a piedi dalla stazione a casa la facevo come sospesa nel vuoto. conservavo tutto l'odore della pittura nelle narici, e respirare di nuovo quell'aria diversa, di casa, senza pigmento, mi intristiva sempre. 
per accedere a quel corso di un anno avevo partecipato ad un esame di ammissione. mi ero iscritta senza alcuna convinzione di passarlo, anche se mi pareva l'unica cosa da fare, l'unica cosa che io avrei potuto fare. avevo parlato con una mia ex compagna di scuola che avevo incontrato per caso del fatto che ci piaceva disegnare, e che sarebbe stato interessante essere seguite da qualcuno. così saltò fuori l'idea di tentare ad entrare in quella scuola. il giorno dell'esame mio non era lo stesso fissato per l'esame della mia amica. così partii da sola. ero arrivata a venezia un mattino presto. alle 8,30 avevo già preso posto su uno dei cavalletti a disposizione ed ero lì ferma con le mie matite nell'astuccio e il mio foglio timbrato grande, molto grande, di una misura che non avevo mai usato, issato su un supporto a cavalletto. mi guardavo attorno e gli altri mi sembravano tutti sicuri del fatto loro, grandi, molto più grandi e importanti di me. non parlavo con nessuno ma ci ero abituata. in quel periodo passavo molte ore al giorno in silenzio totale, come se le corde vocali non mi funzionassero. ricordo che indossavo un giubbino rosso. e ricordo che ad un certo punto entrò nell'aula un tipo che una volta scelta la sua postazione si tolse il giubbino e lo lanciò per terra, con fare alternativo. pensai che forse era già un artista, lui.
ci misero a copiare un busto in gesso, un torso di dimensioni naturali, testa e braccia mozzate, messo al centro della stanza. noi con i cavalletti eravamo disposti tutto attorno. ognuno poteva scegliere la posizione che preferiva. io mi ero limitata ad occupare il primo posto libero appena entrata. da lì lo vedevo di fronte voltato a tre quarti. avevamo a disposizione quattro ore. cominciai a guardare quel gesso bianco. le forme erano molto belle. io avevo portato con me solo due matite, la gomma e uno sfumino, roba antiquata. superata la paura di toccare il foglio con la punta della matita mi misi al lavoro. verso mezzogiorno entrò lui. i disegni erano quasi finiti. io non sapevo chi fosse. fece un giro passando in rassegna le postazioni di ognuno scambiando qualche battuta con gli assistenti. arrivò da me e si mise a sedere al mio posto sullo sgabello chiedendomi il permesso di farlo. mi spostai di lato al cavalletto. io tacevo. lui taceva. guardava il mio disegno, guardava il modello di gesso. dentro di me pensavo che avevo fatto un disegno troppo morbido. non c'era il senso della materia. avevo reso carne, il gesso. dopo pochi secondi quell'uomo magro, capelli e barba rossicci e occhialetti rotondi si girò verso di me con uno sguardo severo, annuì con la testa ma non disse niente. poi se ne andò. dopo due settimane circa mi arrivò una lettera a casa dell'accademia di belle arti di venezia dove c'era scritto che mi avevano preso per quell'anno. la mia amica fu scartata.
a chi mi conosceva, con l'andare del tempo, avevo spiegato ripetutamente di che scuola si trattasse, ma nessuno sembrava capire. per i miei fratelli io ero quella strana, che andava a disegnare le modelle nude. io so che in quei tre giorni della settimana stavo bene. me ne andavo altrove a disegnare. ero molto triste, si, ma più disegnavo e più quella tristezza prendeva voce e si trasformava in qualcosa che mi faceva compagnia. triste, non incazzata, solo profondamente triste.

fine prima parte



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