Un palazzo antico in centro città
ospitava al terzo piano l’ufficio del Sig. Mitis. Cercai il nome della sua
agenzia di marketing fra le targhe incise sulla colonna in marmo a fianco
del portone d’ingresso, e premetti il
pulsante in ottone. Rispose una voce femminile molto delicata, che mi pregava
di salire le scale poiché l’ascensore era momentaneamente fuori servizio. Il
segnale dell’apertura elettrica del portone si udì appena, confuso nel
frastuono del traffico. Mi asciugai un po’ la fronte ed entrai. L’ingresso del
palazzo era semibuio, ma offriva subito una piacevole frescura che si propagava
dai marmi del pavimento, dai muri spessi finemente intonacati e dalla ringhiera
in ferro battuto che si snodava sinuosa, accompagnando i gradini dello scalone.
Non avevo niente con me che potesse suggerire una qualche idea di operosità,
come una cartellina, un’agenda in pelle, una borsa business, o un auricolare
avvinghiato all’orecchio. Niente. Tuttavia il vestito era perfetto, e il
colletto della camicia che fuoriusciva
dalla giacca si mostrava candido e inamidato.
Salutai la segretaria
presentandomi a lei e chiedendo del Sig. Mitis. Con la stessa cortesia con cui
mi aveva invitato a salire mi pregò di attendere qualche minuto indicandomi la poltrona
in pelle nera che potevo occupare.
Non riuscivo a concentrarmi sul colloquio che stavo per
avere, mi limitavo a guardare la mia scarpa lucida che appariva e scompariva
dal mio campo visivo per il movimento intermittente della gamba destra accavallata
sulla sinistra, e sbirciavo soddisfatto il calzino perfettamente coordinato. In
realtà era una situazione che negli ultimi mesi si era ripetuta sino alla
nausea, e oramai nutrivo poche speranze di trovare un lavoro che potesse
somigliarmi anche solo lontanamente. A quell’appuntamento ci ero arrivato per
caso, leggendo un annuncio che mi aveva incuriosito per il testo che diceva
così: agenzia di marketing leader nel settore valuta curricula per assunzione
collaboratore in ruolo di responsabilità. Retribuzione adeguata al ruolo.
Requisiti necessari: forte motivazione e creatività.
“Signor Terisi?”.
“Si…”.
“Angelo Mitis, piacere. Prego mi
segua, accomodiamoci nel mio ufficio”.
Mi precedette con passo lento ed
elegante, ed entrammo in una stanza poligonale, con cinque pareti, di cui tre
erano finestrate da pavimento a soffitto e offrivano una splendida vista sulla
città, seminascosta dalla regolarità delle sottili lamelle di tende veneziane
che lasciavano penetrare una quantità di luce appena sufficiente a guardarci
negli occhi. Non si udivano rumori in quella stanza, solo qualche fruscio delle
sedie sulla moquette grigia, ed un leggero ronzio della pala che muoveva l’aria
ruotando al centro del soffitto. Una volta seduti uno di fronte all’altro
rimanemmo in silenzio per il tempo che il Sig. Mitis impiegò a dare ancora
un’occhiata al curriculum che gli avevo spedito. Si tolse gli occhiali e li
posò sulla scrivania, mi guardò di sotto in su e disse:
“Io adoro i copricapo di ogni
genere. Quello che indosso oggi l’ho acquistato in Africa dieci anni fa, da una
tribù di pigmei del Burundi. Loro se ne servono per riti propiziatori, e i
colori variano a seconda di chi li indossa. Questo era di un capo tribù. Ho barattato di tutto, ma si tratta di un pezzo fantastico. Non mi piace fare
abbinamenti con il vestito. Preferisco i contrasti di colore e di stile, ben
visibili, al limite dell’eccesso. Le va di bere qualcosa Signor Terisi?”.
“ Quello che prende lei va bene.
Con ghiaccio. Grazie. Posso farle una domanda?”
“Prego”.
“L’ufficio è tutto qui? Voglio
dire, l’agenzia di marketing è questa?”.
“L’ufficio uno se lo fa dove
vuole Signor Terisi, non è necessario un luogo fisico, può bastare la propria
mente…e comunque, visto che la sua curiosità mi spinge ad entrare nel vivo del
nostro incontro, le dirò il motivo per cui il suo curriculum mi ha colpito. Lei
ha una serie di titoli di studio e di attestati di frequenza a corsi di varo
genere che uniti ad un’esperienza lavorativa nei luoghi di lavoro più disparati
fa pensare ad una persona che non sa come mettere a frutto le proprie energie e
conoscenze, proprio come me.”
“Mi deve scusare Signor Mitis, ma
non capisco”.
“Si, io in questo momento della
mia carriera ho questo problema. Ho le idee ma non so come metterle a segno. E
credo che lei possa aiutarmi”.
“Ma non mi sono ancora
presentato, in realtà lei non sa nulla di me”.
“Avrà notato che qui ci sono
telecamere un po’ dappertutto. Mentre suonava il campanello, mentre saliva le
scale, mentre sedeva in attesa che io uscissi, lei non pensava al motivo per
cui era qui. Ha osservato l’androne del palazzo, ha sfiorato con il palmo della
mano i muri mentre saliva le scale e guardava il marmo dei gradini, giocava con
il movimento della propria gamba, si guardava attorno ed era tutt’uno con gli
abiti che indossava e con gli oggetti che guardava … ho una particolare
predilezione per le persone che non si consegnano mai completamente, che danno
l’impressione di essere sempre con la mente altrove. Di queste solo alcune sono
autentici artisti. Sono quelli che alloggiano una sensibilità superiore, fatta
di intuizioni che non obbediscono ad alcuna legge, animi capaci di percepire la
bellezza, la poesia, la luce … mi aiuterebbe a scrivere un romanzo, Signor
Terisi?”.
“Posso chiederle cosa ha a che
fare tutto questo con l’agenzia di marketing?”
“Fa parte di una strategia di
promozione del marchio. Creare un personaggio che fuoriesca dagli schemi del
solito titolare d’azienda oberato dal lavoro, iperattivo, calcolatore,
flessibile e sempre presente. Il mio nome è la mia azienda, ed io voglio
un’immagine nuova, maggiormente legata all’idea di uno spirito libero. Voglio
scrivere un romanzo che possa appassionare, commuovere, indignare, un romanzo
che scuota gli animi e che sia stato scritto da Mitis in persona. Voglio
spiazzare la concorrenza in fatto di immagine, indicare una via nuova nel
panorama della comunicazione. Sono un titolare d’azienda che ha anche un’anima.
Voglio presentarmi in fiera con il mio libro oltre che con i miei prodotti, voglio
che nascano dei circoli culturali all’interno delle aziende dove si discuta, si
legga, ci si confronti sull’arte, sulla letteratura, sul cinema, sul teatro. I
manager devono amare la bellezza. Non ci si può arenare ai costi di gestione.
Sono stanco dell’immagine rassicurante, prevedibile e omologata che mi sono
costruito negli anni…”.
“Signor Terisi?”
“Si …”.
“Sono Massimo Corsi,
collaboratore del Signor Mitis … ci scusiamo per averla fatta aspettare così a
lungo ma i colloqui si sono protratti oltre l’orario previsto e abbiamo
ritardato con il suo appuntamento. Può accomodarsi da questa parte, la seguo io
perché il Signor Mitis è dovuto scappare o perdeva l’aereo”.
Mi resi conto di essermi
completamente estraniato dalla situazione. Avevo azionato un film nella mia
testa di come avrei voluto fosse il colloquio ed ora mi ritrovavo a presentare
il mio curriculum ad un brillante ed energico giovane che probabilmente mi
aveva già inquadrato trovandomi quasi assopito in poltrona nella sala d’attesa.
Mi strinse la mano in modo standard, con un sorriso standard, vestiva come le
altre dieci o quindici persone che avevo visto passare in quell’ora di attesa,
teneva dei fogli nella mano sinistra e si muoveva velocemente per trasmettere
la sua energia lavorativa. Si sedette alla scrivania agitando il mio curriculum
in maniera entusiasta, sfoderando un sorriso ora sguainato come fossimo vecchi
amici. Alle pareti del suo ufficio c’erano dei manifesti di quadri
impressionisti incorniciati con poche lire, e nemmeno la scelta dei colori per
le cornici era stata felice. La poltrona su cui sedeva era di tipo
presidenziale, e il piano della scrivania era in vetro bordato di pelle scura.
C’era infine un’unica libreria lucida e nera
che ospitava alcuni grossi registri e fascicoli. Sull’unico spazio
libero una foto dei figli su cornice d’argento.
“Dunque Signor Terisi, mi
racconti qualcosa di lei”.
“Mah, quello che volevo dire l’ho
scritto sul curriculum … è tutto lì”.
“Non ha niente da dire?
Ambizioni, progetti, obiettivi, mi faccia capire perché è qui oggi! Abbiamo
fatto altri colloqui con altri aspiranti collaboratori e questo è un posto che
fa gola a molti, lo sa? Quando sono stato assunto io il Signor Mitis mi fece
un’unica domanda, la stessa che le ho appena fatto, ed io parlai per mezz’ora.
Se si vuole qualcosa dalla vita bisogna lottare per prendersela, non crede?
Perché dovrei scegliere lei per questo lavoro? Conosce la nostra azienda?”.
“Mah, ho letto che vi occupate di
marketing, e sono qui anche per saperne di più
…”.
Attese perplesso qualche secondo
con lo sguardo ancora sui fogli che aveva in mano, sospirò e disse:
“Signor Terisi, io credo che lei
abbia bisogno di capire meglio cosa vuole fare. Non si può cercar lavoro
sparando nel mucchio. Non me la sento di proporle questo posto. Provi a
rifletterci un po’ su, d’accordo?”.
Uscendo dall’ufficio salutai la
segretaria che un’ora prima mi aveva fatto accomodare in attesa. Salendo in
macchina mi dissi che avevo fatto bene a rifiutare l’offerta. Ero andato a quel
colloquio perché volevo un ruolo da creativo, non mi interessava un posto da
ragioniere della comunicazione. L’avevo fatto per troppo tempo il ragioniere ed
era un lavoro che odiavo. Certo, il modo con cui avevo rifiutato era stato
geniale, mettere l’interlocutore in condizione di cacciarti per
disperazione.
Procedevo nel traffico delle
cinque del pomeriggio con addosso un leggero nervosismo mentre ripensavo al
contenuto del colloquio che avevo avuto con il Signor Corsi. Alla terza
sigaretta, nel tratto di strada che preludeva alla piazza del mio paese, avevo
chiara in mente l’espressione che avrebbe fatto quella sera mia moglie. Vedevo
due occhi increduli che mi avrebbero fissato per qualche secondo, per poi
deviare sul piatto di pasta al pomodoro. Ed io avrei dovuto spiegarle che per
un posto come quello non serviva fare tanti chilometri ogni giorno. Ne sarebbe
valsa la pena solo nel caso in cui mi fosse stato proposto il lavoro per cui
avevo risposto all’annuncio. Ma non era andata così. Era stata solo l’ennesima
perdita di tempo. Un’altra delusione. L’avrei informata del fatto che la mia
vita doveva iniziare a prendere la direzione che volevo io, e che quindi dovevo
smettere di accettare qualsiasi tipo di impiego.
Ma le ultime parole furono le
sue:
“Anche la mia vita
deve iniziare a prendere la direzione che voglio io. Domani mi trasferisco da
mia madre”.
un velluto suadente con note da pifferaio che strega e accompagna fin davanti al vuoto
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