Milano. Cinque e trenta del
mattino. All’angolo di via Bramante, in direzione della fermata del tram per il
cimitero monumentale, viene rinvenuto il cadavere di un giovane di età apparente
tra i 25 e i 30 anni. La strada è bagnata, ha piovuto tutta la notte, e il
corpo appare riverso sul marciapiede disteso sul fianco destro, quasi
completamente coperto da pezzi di cartone inzuppati e sporchi e con il volto
rivolto verso il muro.
Mi reco sul posto per i rilievi
del caso e a stento trattengo la mia rabbia nel procedere all’identificazione.
Si tratta di Carlo, il fratello minore di Ada, mia compagna di studi all’ultimo
anno di liceo. Overdose da eroina. Alzo la testa, e il mio sguardo corre lungo
il muro di cinta del centro sociale che si trova nelle immediate vicinanze.
Provo ad immaginare dove può aver trascorso le sue ultime ore, in compagnia di
chi, ma alla necessità di indagare sui fatti si sovrappongono immagini di lui
ragazzino, ed è un mesto ripensare al suo bellissimo viso, e alle sue mani
bianche e affusolate.
Lo incontravo sempre alla fermata
del tram. Io passavo in bicicletta poco prima delle otto, e lui salutava beffardo
in compagnia di altri ragazzi con il suo violino sotto il braccio, il sorriso
sornione e l’aria di chi sa di valere molto più degli altri come musicista. Era tenace nello studio, appassionato e fiero, ed erano in
molti a riconoscere il suo precoce talento. Aveva un rito tutto suo prima di
iniziare un concerto, raccontava storie di violini che
prendevano vita in un mondo surreale, e lui gli attribuiva un cuore, ma
soprattutto un’anima. Era un artista. A
raccontarmi di lui Ada si stringeva sulle spalle con il pudore di chi sa
distinguere la verità da un elogio.
Fu durante una lezione appena
iniziata nell’aula di latino che arrivò la notizia del tragico incidente. Ada
si precipitò all’ospedale, e da quel giorno la sorte cominciò a mostrare
l’altra faccia. Carlo era finito tra le lamiere del tram scontratosi in città
con un autobus, e l’uso del suo braccio destro fu irrimediabilmente
compromesso, così come la sua carriera di musicista.
Finito il liceo persi di vista tutti e due, ma ritrovai
Ada a distanza di anni una sera in pizzeria, visibilmente cambiata nell’aspetto
e nei modi. Si tolse il berretto di lana mostrandomi le poche ciocche di
capelli che ancora le erano rimaste, vergognandosi con me per il suo aspetto così
malato e tetro. Iniziammo a parlare, e mi raccontò della sua disperazione per
quel fratello che non conosceva più.
Dopo l’incidente Carlo aveva dovuto passare molto tempo
tra riabilitazioni e cure mediche per il parziale recupero dell’arto, e ad ogni
intervento perdeva sempre più fiducia nelle proprie possibilità, dovendo
accettare ben presto di non poter mai più suonare il suo violino.
Lasciò gli studi e si cercò un lavoro come barista in
periferia, ma durò poco, e cominciò a girovagare vivendo alla giornata,
incurante di costruirsi un futuro che oramai non lo interessava più. Vendette
tutto quello che poteva fruttargli un po’ di denaro, compresa l’intera collezione
di dischi, e si allontanò da casa, senza dare troppe spiegazioni.
Dopo qualche anno di silenzio si presentò in famiglia
dicendo che era appena uscito dal carcere, e che non aveva un posto dove
andare. Non era la prima volta che vi finiva dentro, sempre per piccoli furti e
spaccio di droga. Da quel giorno tornò a vivere a casa, ma non faceva che
ostentare atteggiamenti intimidatori e violenti.
Guardavo Ada e pensavo che il suo era un racconto che
avevo sentito troppe volte, ma non riuscivo ad accettare il fatto che si
trattasse di Carlo, di quel ragazzetto che viveva in simbiosi con il suo
violino, a cui di colpo era stato impedito di sognare.
Quella sera Ada mi confessò di desiderare che Carlo fosse
affidato ad una struttura in grado di seguirlo, poiché la sua famiglia non ne
aveva più i mezzi. Le diedi il nominativo di un responsabile di mia conoscenza
in una comunità per tossicodipendenti promettendole che l’avrei aiutata se
avesse deciso di provare. Poi non ne avevo saputo più nulla.
Fino a questa mattina.
sì, ognuno ha la sua impronta addosso e ogni sfumatura mi commuove
RispondiElimina