Coricate alla mia sinistra, due
penne bic, una rossa e una nera, puntano le loro punte senza cappuccio in
direzioni opposte. Quella nera sopra un post-it giallo con su scritto ‘il
parco’ punta verso un contenitore di plastica trasparente pieno di fermagli di
varie dimensioni. Quella rossa arriva quasi a toccare un foglio bianco
contenente alcuni appunti presi a matita, nomi e un numero di telefono. Natura
morta con cellulare e busta per occhiali, il quadro che si apre ancora più a
sinistra. La busta, nera, è di quelle morbide, con i laccetti per chiudere, e
uno straccetto per pulire le lenti che fuoriesce appena, di color arancione. Un
evidenziatore giallo evidenzia tutto il suo peso sopra allo straccetto, di cui
intuisco le pieghe. Il cellulare è quasi tutto nero, parallelo
all’evidenziatore, e muto, per lo più. Il collo duole se mi giro ancora più a
sinistra, dove scorgo la macchina fotografica, nella sua busta rigida, nera.
Tutto questo nero. Invece il tavolo è bianco. Solido e bianco, dove appoggio i
miei gomiti e scrivo, muovo le dita delle mani sulla tastiera, nera, e scrivo. E mentre
sento le dita dei piedi intorpidite dentro agli anfibi vedo che scrivo movendo
le dita delle mani sulla tastiera, nera, ma tengo tra l’indice e il pollice della mano
destra una matita, nera, come mi servisse per scrivere, ma non è così, perché
uso la tastiera. Nero. L’eterno silenzio senza futuro. Così Kandinskij nello ‘Spirituale nell’arte’. Indosso jeans neri, e un maglioncino color ghiaccio, con motivi floreali in velluto, nero. Fossero almeno stati disegnati da Fortuny. Ho fatto di tutto per
arredare questo posto con i colori più chiari. C’è pure la libreria, alta e
magra, bianca, di un bianco Ikea, una cosa che qui dentro non c’entra, con
libri scritti solo da donne, forse sono settantadue, e anche questo non c’entra,
come non c'entro io con questo posto, ma ci entro. Poi l’occhio guarda sempre in basso, e vede nero. Pochi pezzi, tutti neri.
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