oggi sono arrivata un po'
in ritardo. ho chiamato per avvisare che avrei posticipato l'orario
di dieci minuti e così è stato. quando sono entrata lo sguardo del
tecnico che mi segue era severo. ha fatto il gesto di guardare
l'orologio davanti a me. mi sono scusata, ma mi ha infastidito. ero
al lavoro, mica a fare shopping. mi ha chiesto se ho un negozio. ho
risposto che ho un ufficio e che quando si ha a che fare con il
pubblico non sempre si può prevedere i tempi. tutto, qui al centro
terapie, è fatto in serie e si svolge secondo tempi stabiliti: tot
minuti a paziente e via. mentre ero stesa sul lettino a fare la prima
delle due terapie, la laser, ho sentito che diceva a qualcuno al di
là della parete: ho avuto un ritardo di una paziente oggi e ora mi
trovo tutto sballato con i tempi. sballato è il sistema, dico io.
non siamo robot. ma il centro deve fare soldi. ogni giorno, fiumi di
persone porgono piedi, gambe, tronco, braccia, mani, testa, collo.
tutto va messo al setaccio e ricomposto. non so come uscirò da
questo ciclo di terapie. nutro qualche perplessità. spero davvero di
sbagliarmi. oggi sono tornata sulla gabbia dove ho fatto gli
ultrasuoni la prima volta. l'acqua oggi è fresca. non mi sto
ustionando come l'altro ieri che sono uscita con un calzino rosa
attorno alla caviglia. era il segno della pelle che dalla caviglia in
su era fuori dall'acqua, dalla caviglia in giù, piede compreso, era
dentro all'acqua bollente e davvero erano aghi dappertutto. le gabbie
sono gabbie in alluminio. tutte uguali. misureranno tre metri per
due e sono chiuse da porte scorrevoli.
Nessun commento:
Posta un commento