dove sono?

posto qui sotto un mio appunto trovato per caso e riletto. mi chiedo dove sono finita in seguito (per non dire 'dove sei?' alla Martin Buber del 'Cammino dell'uomo').
lo tengo come pro-memoria. speriamo nel 2015


la mia curiosità iniziale nei confronti della lingua ebraica era motivata dalla curiosità sull'ebraismo, una cultura che mi affascinava ma a me totalmente sconosciuta. ho pensato che la lingua fosse un veicolo importante, senza immaginare QUANTO fosse importante. è stato come lanciare un sasso nell'acqua, è caduto su un punto, ma il movimento che ha generato è stato molto più ampio. e questo è anche il motivo per cui non volevo studiare da autodidatta, volevo il contatto umano, meglio se con ebrei di altre nazionalità, e il ghetto è stato perfetto per questo. spesso, nella lingua ebraica, non c'è effettiva corrispondenza nella traduzione delle parole che sono usate nel parlato comune per esprimere un concetto. Si usano quelle stabilite, ma non sono quelle che effettivamente corrispondono a quanto viene detto. occorre andare oltre, occorre andare all'interpretazione. (es: 'ben kama attà?' per dire quanti anni hai? che tradotto letteralmente sarebbe 'figlio quanto tu?')
andare oltre. questo comporta accettare il fatto che la lingua ebraica racchiude in sè un elemento coercitivo, rintracciabile nel fatto che DEVO ricorrere all'interpretazione scalzando la ragione, quindi
approdare ad accettarne l'origine, il Valore di Lingua Santa, che solo in seguito è divenuta lingua rabbinica e poi di uso comune, motivo per cui necessariamente portatrice di leggi prima ancora che grammaticali, inevitabilmente etico/morali. l'aspetto 'coercitivo' può essere vissuto come accrescimento e non come limitazione SOLO nel momento in cui si è disposti a cercare l'origine, qualcosa di autentico, e non ci si accontenta - nell'ambito di uno studio serio - di ridurre a traduzione, di ricondurre tutto ad altra tradizione.
questo è quello che mi attrae nello studio, la comprensione che porta ad uno spostamento, e la cosa ancora più bella, per me, è che questo avviene anche quando non arrivo al centro, anche quando rimango nella mia non comprensione, dopo aver faticato per raggiungerla. Mi interessa il viaggio, il non cadere nella trappola della confutazione fine a se stessa, partecipare alla comprensione di cosa altre persone credono, senza necessariamente identificarmi. certo, ci vuole una buona dose di simpatia per l'altro, ma c'è solo da guadagnarne.


(ecco. c'è anche del casino qua dentro. ma per lo meno stavo cercando qualcosa, buon dio, stavo cercando qualcosa!)

alla pittura di osvaldo

e mi piace ancora
quella tua testa galleggiante
che afferri tra pollice e indice
attraverso il bianco/giallo/nero

a volte saltimbanco
di fronte senza profilo
mi corri incontro
arabeggiante
e la camminata
è ardita

tanti auguri di buon compleanno

perchè rimanere delusi quando ciò che ci si sente dire è esattamente quello che si vuole sentirsi dire? non parlo di contenuto. in generale, io preferisco che le persone mi dicano quello che pensano. voglio sempre che mi dicano quello che pensano. io tendo a dire quello che penso, motivo per cui, deduco, ho ferito molte persone. oggi mi sento ferita. è inutile dire di no. è inutile dire che è meglio così. è inutile dire: piuttosto che qualcuno si senta costretto a fare qualcosa è meglio che dica che non vuole farla, quella cosa. oggi è il mio compleanno, e io non volevo ferirmi, oggi. e invece mi sento ferita. l'errore sta nella premessa, probabilmente. credere di sapere qual è il bene per gli altri. ho sbagliato. il rifiuto ne è la prova. ma la ferita si allarga se penso che prima mi è stato detto di si, e ora, proprio oggi che è il mio compleanno mi viene detto di no, dopo che sono state coinvolte altre persone e la giornata di domenica è stata organizzata. e poi, non è una persona qualunque, mia mamma. non mi è indifferente che mi dica di si o che mi dica di no. a me non me ne fotte un cazzo degli altri, mi interessa lei, mi interessa mia mamma. e mia mamma mi ha lasciata al palo. oggi. lei non ci sarà domenica. perchè? perchè di no, punto. prima era si, ora è no. averlo saputo prima, non avrei organizzato un cazzo. la cosa strana, è che a me si rifiuta senza problemi, e lo fa spesso; a mio fratello e a mia sorella dice sempre si, salvo poi lamentarsi con me che non aveva voglia ecc. ora. dovrei dedurre che  io con mia mamma ho un rapporto migliore? vietata l'ipocrisia, l'ho sempre voluto, no? ma allora, perchè sto così male, mondo cane? io oggi sto così male perchè fondamentalmente sono un'ipocrita che pontifica di non esserlo. invece lo sono, eccome! sono un'ipocrita. voglio che mi si dica di si quando desidero che mi si dica di si, e che mi si dica di no quando desidero sentirmi dire di no. non voglio che gli altri pensino con la loro testa ma che mi diano il consenso. voglio solo consenso. non sopporto più il dolore. non sono più brava come un tempo. mi sono indebolita. chi cazzo mi ha indebolita? ho deciso. mi procurerò il libro di Edward Bernays 'L'ingegneria del consenso'. lo leggerò. lo studierò. voglio applicare alla lettera i meccanismi del consenso. perchè odio questo mondo e spero tanto ce ne sia un altro.

nostalgia

mi mancano, quei mercoledì pomeriggio


il guinzaglio

le ciotole le ho tolte
la cuccia l'ho buttata
a te, ti ho seppellito
nel bosco, sul querceto

rimane il tuo guinzaglio
dinoccolato e stanco
segnato, consumato,
un resto inanimato

riposa arrotolato
come un serpente fulvo
nell'ovale di rame
tra farmaci e crocchette

te lo mettevo sempre
nessuna concessione
al tuo andare libero
di cane strafottente

io si, te lo mettevo,
per evitare storie
con altri cani in strada
per te, tutti nemici

rimane lì per niente
nessuno dopo di te
arriverà ad averlo
non ci saranno, altri

anche quando non guardo
so che lì c'è il guinzaglio
ripercorro i tuoi salti
per averlo ed uscire

sei uscito per sempre
saggio sulla montagna
sdraiato nella selva
vegliato dalla luna

cane, tu mi hai fregato
e il guinzaglio che tengo
è la mia corda al collo:
amore senza scampo!


pizzini

quando esci chiudi tutto burro mi merito un cellulare nuovo? i piatti li faccio io dopo spino è svenuto non portarlo fuori detersivo pavimenti ricordati la bici non torno a pranzo la tessera coop è in cassetta della posta bidoncino umido la lavatrice è da svuotare ti ho gonfiato le ruote della bici mi svegliate alle 7.30? pastiglie spino riso caffè ammorbidente regalino per me vado dalla nonna non aspettarmi chi arriva per primo metta fuori lo stendino siamo dai rockets domani mi serve la macchina in frigo c’è qualcosa per te cibo spino pulisciti le scarpe! spazzolino occhiali scontrino non spegnete il computer! chi si è preso il mio carica batterie? abbiamo rotto noi il coperchio candeggina sono all’old voi mangiate bottigliette acqua domani plastica


l'affettatrice

ciclopica locusta meccanicamente modificata
sei madre di medaglie e sangue
in spessore leggero
generate dal tuo ventre di lama zelante
sovrana indifferente
mostro rostro pronto alla guerra

toccò dire di si al tuo disco rotante
incoronato d'acciaio
ma io non ti volevo
tra zucchero di canna in vetro
e panno carta in piedi

affetti l'intero con metodo e disciplina
difetti di pensiero
eccedi in sottigliezze
affettatrice, sei felice?

di linee ortogonali ne ho abbastanza
dei tuoi bizantinismi
della fame di nascondimento
che mi assale
quando apro smonto e cerco

avida nel tuo splendore meccanico
riempi la mia stanza e ti prepari al lancio
e stanno in addizione
manopola da impugnare +
quattro piedini in gomma a poggiare +
braccio +
piano inclinato +
plastica da fermare:
tutto professionale
tutto da pulire!


il gabbeh con il leone


primo diaframma
nella casa beige di là dal campanile
dopo il cortile
oltre le mura affrescate

tutto era già vecchio
dentro a medaglie di petali in cammino
forse voce di sterminio
dopo lo sgombero della quercia
che ora brilla
nella preghiera a specchio (cocciniglia)

trema il profilo da palazzo in costruzione
nella coda a microfono
nel manto chiarocrociato
di fiera annodata
ora
con fissa dimora

geometria incompiuta messa al muro
nelle notti di luna assunta
palla di cannone
smunta
apostrofo e misura
nel mercato di stelle


la scatola butter cookies con ago e filo

bottoni
dai buchi cerchi blu
caduti in basso
e giovani uncini in fila per due
come cocorite appaiate
ai bordi della scatola di latta

li trovi dove hai perso il filo
del groviglio quieto di pensieri
sotto al calzino fiacco
tra matasse/pergamena
e forbici
in fondo allo scaffale

niente burro e profumo
solo colori da bazar
dentro al labirinto delle crune
dove nè gòmena nè cammello
si avventureranno:
così non c'è speranza


i libri

c'è una casa nella casa
con porte e finestre su tutti i lati
con scale aggrovigliate
e corridoi dove ti perdi
ci entri quando fa buio intorno
e una volta dentro vorresti accendere la luce
ma fatichi a trovare la luce dentro
forse qualcuno ti fa gli scherzi
sposta l'interruttore ogni volta che esci
così quando entri procedi a tentoni
con le mani che toccano i muri
gli spigoli e le sporgenze
che sono le parti più facili da raggiungere
perchè sono loro che ti toccano per prime
ma se non stai attenta ti feriscono
basta poco per ferirsi
allora torni indietro e ricominci
magari rifai la strada di prima
che tu credi sia quella di prima
ma non è più quella di prima
e te ne accorgi perchè
sbatti contro una porta chiusa e pensi
che quella porta prima non c'era
e ti fai male
perchè provi ad aprirla ma è sbarrata
e tu rimani fuori
al buio
allora cambi strada
giri di là e imbocchi quel corridoio che ti ricorda qualcosa
l'avevi percorso molto tempo fa
ma non eri arrivata fino in fondo
e non sai ancora cosa c'è alla fine
quando arrivi a metà
gli occhi si sono un po' abituati al buio
e ti sembra di vedere qualcosa
è una scala che portà giù
superi la soglia del primo gradino e cominci a scendere
sempre più giù
e il buio torna buio
ne percepisci la profondità
ma sono solo intuizioni
ti emozioni e non sai perchè
ti sembra addirittura di sentire delle voci
parlano a te
parlano di te
eppure non sa nessuno che ci sei
vorresti rispondere
dire qualcosa
ci provi ma ti accorgi che la voce non esce
le parole rimangono in gola
esce un soffio appena
ti stanchi e ne fai silenzio
ti fermi ti siedi
cominci a guardarti attorno
perchè di nuovo gli occhi si sono abituati al buio
e puoi vedere qualcosa
ti ricordi di quando eri bambina
e giocavi con dei cubetti di legno dipinto
su ogni faccia dei cubi
c'erano delle figure diverse
e potevi formare delle storie
erano consumati nei bordi perchè ci giocavi sempre
facevano un bel rumore
e ti piaceva tanto l'azzurro del cielo
era il tuo preferito
e quando avevi finito li mettevi dentro alla loro custodia
di plastica rossa trasparente
e rimanevi seduta a guardare la scatola con dentro i cubetti di legno
e ti accorgi che sei seduta su un gradino
di una scala che procede in profondità fino a dove non vedi
e alle tue spalle sale verso l'infinito dove non arrivi
ed è buio di qua e di là
e a destra e a sinistra c'è il vuoto
che è pieno di parole
vive
dure come cubetti di legno dipinti
gettati in un'enorme discarica
che non fanno più quel bel rumore
non ci sono più le manine che li toccano
e li girano e cercano le storie
allunghi una mano e tocchi qualcosa
lo premi e si accende la luce
dura poco
un lampo che acceca
e i tuoi occhi si chiudono forte
è di nuovo buio intorno


23 rumori prima delle dieci



le litanie del cestello che ruota nella lavatrice
lo sghignazzare dell’acqua dal rubinetto in cucina
il tip tap ballato dal mio cane sulle unghie in corridoio
il borbottìo di un cubo nero che trasmette immagini in salotto
l’urlo straziante della sedia che sta per rompersi  in studio
il fischio in carta carbone del merlo che sta lì fuori
il fruscio dilettante del mio pc
lo slang della ciotola del cane
il cigolio intermittente del ventilatore
il tuo inconfondibile colpo di tosse
i piatti e le pentole che litigano
le porte che s’incazzano e voltano le spalle
un libro che si suicida dall’alto
il jingle del cellulare che si accende
lo snap snap delle ciabatte quando passi e vai di là
lo srotolìo della tapparella in camera
la scopa sul battiscopa
lo shampoo che cade in doccia
lo spruzzetto del deodorante
il gorgo d’acqua nel wc
il tintinnìo delle monete in tasca
lo zip della cerniera
il blindarsi della porta blindata 


polvere (la polvere mi somiglia)

La polvere mi somiglia
quando arretra davanti allo straccio,
perchè anch'io faccio un passo indietro, spesso.

La polvere mi somiglia
quando sparisce e poi riappare,
perchè anch'io vado via, e poi torno.

La polvere mi somiglia
quando fa i segni sul tavolo,
perchè anch'io ho disegnato, sul tavolo.

La polvere mi somiglia
perchè sa di dimenticanza,
e anch'io mi alleno a dimenticare.

La polvere mi somiglia
quando non ti accorgi che c'è,
perchè anch'io faccio piano, per non disturbare.

La polvere mi somiglia
se penso che è dappertutto,
perchè anch'io devo correre, di qua e di là.

La polvere mi somiglia
perchè ieri l'ho vista sul libro blu,
e anch'io sto da un po' sul libro blu.

La polvere mi somiglia
quando va sempre sugli stessi posti,
perchè anch'io non cambio mai direzione.

La polvere mi somiglia
quando si infila tra le fessure del legno,
perchè anch'io mi nascondo, a volte.

La polvere mi somiglia
quando sta in superficie,
perchè anch'io sono superficiale.

La polvere mi somiglia
quando da bianca diventa nera,
perchè anch'io m'incupisco.

La polvere mi somiglia
perchè non è un corpo unico,
e anch'io sono fatta di frammenti.

La polvere mi somiglia
perchè seppellisce, copre, nasconde
e anch'io ho seppellito, tanto.


polvere (poi eri bella)

poi eri bella
sul mio tavolo costipato di colori
indisturbata ospite di alto bordo
sul bordo in alto del vasetto di olive
precario ornamento
di neri catramosi
di bianchi ossidati
di lacche stanche
venne Ovidio per ultimo
e ti ho lasciata a Narciso
poi il silenzio
e un vuoto pulito


polvere (non so più niente)

non so più niente
della tua polvere
stavo a pancia in giù sul pavimento
seguivo un solco
(confondo i giorni)
contavo i passi le crepe le impronte
scatole di cartone mai aperte
ricoperte di umore sonnolento
piccola io
ti ho aspettato
e ho barato per non sentire tremare più la terra
ho preso carta e penna
e ti ho disegnato
erano tre in uno in una
cornice di spagna
te ne sei andato
e io non l'avevo capito


polvere (arriva il sabato)

arriva il sabato e ti tocca
l'avevi vista subito appena finito
che si manifestava lenta sul piano scuro
della libreria grande
un velo minimo un rave senza musica
di particelle che nascondono mostri
colonizzatori dediti al succhio e allo scavo
respiro corrotto
roteare muto di piccoli lampi bianchi
filamenti bandiere
che sventolano stanche
attaccate alla gamba del tavolo
al dorso del divano presenza
solida e assente
intermittente
passa un giorno e la chitarra sbianca
ne passa un altro e cala la nebbia sul sole
in fotografia
il terzo giorno fu borotalco
alle spalle della scultura africana
poi cipria sull'abat jour
lucido opaco sul citofono
dimenticanza sullo stereo
decide lei
pontifica
modifica i colori alle cose
la loro periferia
non chiede autorizzazioni
si autoinvita alle feste
ti sputtana con il pignolo
eppure

eppure ti fu amica


polvere (sulla tua sedia vuota)

SULLA TUA SEDIA VUOTA


polvere (ti si solleva per far chiasso)

ti si solleva per far chiasso
rotoli e ti fai felino
misuri un dito
ti mangia chi sta indietro
sei mònito per il ritorno
epitaffio per la signora Parker

polvere (cocaina domestica)


COCAINA  DOMESTICA 

                                                                                                    SOPRA LE RIGHE 
    ZUCCHERO A VELO 


mentre cadi ti aspiro 
proprio lì, sopra al pc,
dal buco sul muro
brillante, morbida caduta,
non ti disperdo
non toccherai terra
ti aspiro tutta
mi metto di lato
un po' a sinistra





                          SUL MIO PC     PERIFERIA  
    
                                               MONDO A COTTIMO
 




    PERVASO DA UNA PACE
                                                    ORIZZONTALE

    UN PO' (a) SINISTRA



polvere (so che giochi sporco)

so che giochi sporco, ti attendo al varco,
osservo appena entro, sopra e sotto,
nemica minuscola in ogni anfratto,
ostinata io non mollo, ti cerco.

medesima dimora che ci attende,
aria vestita a festa in controluce,
nobile peplo che addosso si cuce
un dì e l'altro ancora, s'alza e discende.

esci dal capo di un cane barbuto
lasci che un soffio ti sposti di poco
accogli il disegno che lascia il dito

bivacchi ovunque dove io abito:
odiosa polvere, fatti un trasloco,
zonizzati altrove, almeno un minuto.