desiderio

neve. desidero vedere la neve. ma non in un giorno qualsiasi, nel giorno del mio compleanno. voglio la neve mercoledì 4 dicembre. la voglio vedere anche solo per un'ora. la chiedo al cielo. mi alzerò presto, e aspetterò. la neve.


figure

prima fai un passo allungato
sulle tue scarpe a punta,
allegria di vento innocente,
nel vuoto.

prima un ginocchio rosa
s’inventa un tacco a riposo
e calmo è il giro di bianco, grumoso.

prima mi dai l’innocenza sgraziata
scolpita nel sorriso nero, scomposto,
e filamenti di viscere
senza fissa dimora.

poi ti alzi e sei imponente
indossi la tua cravatta urlante
esplodi in apertura alare
senza seno/senso/senno
e dicono di te che sei inquietante.

piano ritorni frammento
e riposi nuda, in pace,
laggiù in fondo,
l’anima bianca appoggiata al mento,
e stai.

parole povere - pierluigi cappello

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l'altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l'aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c'ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l'occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l'altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c'è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l'ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d'inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all'improvviso
ma d'inverno è bello quando si confondono
l'alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.

Uno l'ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l'hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l'allegria dei vinti e una tristezza grande.

dietro le quinte 15. punto.

Luchi è il luogo dove io non potrò mai arrivare, il luogo in cui non so distinguere un colore da un altro. è la base dell'arcobaleno, inconsistente, irraggiungibile, vuota di me. potrei esserci già dentro e non saperlo, ma se fosse così, non saprei dirlo. Luchi è il pensiero che non ho mai avuto, il pensiero più vero e più ardito. l'unico degno di diventare un segno. Luchi è idiozia, la mia. «Costruisci per te un’arca di legno resinoso, la farai a celle e la spalmerai di bitume di dentro e di fuori. Ecco come devi costruirla: avrà 300 cubiti di lunghezza, 50 di larghezza e 30 di altezza». il condominio, questa cosa che odio profondamente, io credo abbia origine nell'arca di noè. i costruttori non lo sanno, ma seguono indicazioni 'importanti'. Luchi, Noè, l'arca e l'arco-baleno. forse ho bisogno di cure, più che di istruzioni per l'uso. adieu.


dietro le quinte 14

6,12. martedì mattina. a quest'ora è più importante il buio della luce, nel cielo. è un buio fresco e vigoroso, è un blubuio, promette il giorno. Luchi è già in piedi, c'è una luce minima che illumina la stanza che io credo sia il suo soggiorno. intravvedo la sua figura davanti alla porta a vetri che dà sulla terrazza bianca, ma non ne distinguo i movimenti, non vedo che fuma, ma so che sta lì e fuma. vista da qui quella luce minima sembra un focolare sospeso nel vuoto.  

170 anni

L'11 novembre di centosettant'anni fa veniva pubblicata la fiaba di Andersen 'Il brutto anatroccolo'. 



dietro le quinte 13

7,12. lunedì mattina. Luchi è sul terrazzo con addosso la sua felpa grigio scuro con cerniera. fuma. braccio sinistro piegato sulla pancia, mano destra che regge la sigaretta sempre davanti al viso. per la prima volta lo vedo sporgersi leggermente e guardare giù, attratto dal cicalino del camion delle immondizie che fa manovra per avvicinarsi al punto di raccolta. torna subito in posizione ma subito dopo lo vedo girare la testa verso destra e accompagnare con lo sguardo il passaggio del pulmino della scuola. il camion delle immondizie è giallo scuro, il pulmino della scuola è giallo chiaro. L'attimo dopo Luchi è in movimento per spegnere la sigaretta e rientra chiudendo la porta a vetri. all'interno della stanza che io credo sia il suo soggiorno la luce è accesa. dopo qualche minuto si spegne. è un mattino di cielo fermo, dall'aria provvisoria.

dietro le quinte 12

9,58. domenica mattina. non ho ancora visto Luchi uscire in terrazzo a fumare. durante la notte ha piovuto, le strade sono ancora bagnate. la luce si contende il cielo con le nubi che ne riflettono il chiarore. poco movimento in giro. il mio cane sta sdraiato vicino ai miei piedi. guardo la terrazza bianca e mi chiedo se Luchi abbia contatti con i vicini di casa. in ogni condominio c'è l'impiccione. possibile che a lui non capiti di essere molestato da tali presenze? dovrà pur uscire qualche volta sulle scale. è lì che in genere si fa l'incontro. sulle scale del condominio, quelle parti definite comuni a tutti e indivisibili che per loro natura sono ponti di collegamento fra gli appartamenti, fra le persone che li abitano. può capitare quello che è capitato a Eddine, sfacciatamente bello, di discendenza marocchino-egiziana. lui abita al piano terra, vive solo, lavora in una birreria. rincasa a notte fonda, e quella notte era accompagnato. dopo un'ora che era in casa qualcuno suona alla sua porta, ma lui non apre. il suono del campanello si ripete due, tre volte. Eddine non apre. dopo un po' gli squilla il cellulare, è un suo amico. Eddine risponde: "che c'è?" e il suo amico gli chiede "ma perchè non apri? sono qua fuori e la tua vicina mi ha detto di insistere perchè sa che sei in casa". forse una vicina così non avrebbe nulla da immaginare su una persona come Luchi. ne potrebbe parlare con le amiche dicendo che il suo vicino è una persona molto riservata, silenziosa, educata. mentre scrivo Luchi esce nel terrazzo. sembra mi abbia sentito. indossa la felpa grigio scuro, sta fermo in piedi e fuma, con il braccio sinistro attorno alla pancia. non vorrei sbagliare ma mi sembra si sia fatto crescere la barba. per un po' rimane fermo e guarda nella mia direzione. poi si gira di profilo, porta la sigaretta alla bocca con intervalli brevissimi tra una tirata e l'altra. spegne la sigaretta piegandosi in avanti sulla sinistra e rientra. i rami di pino che fanno da quinta alla terrazza bianca si muovono appena. c'è un po' di vento.

dietro le quinte 11 bis

8,49. Luchi esce ancora sul terrazzo a fumare. indossa la felpa blu, quella con fasce bianche sulle maniche. probabilmente ha fatto una doccia e si è cambiato. immagino faccia fatica a tenere gli occhi aperti, magari gli  bruciano come quando faceva la doccia da bambino e inevitabilmente gli andava del sapone negli occhi. immagino gli sia successo un inconveniente. sul più bello l'acqua è diventata fredda, gelida. Luchi ha provato a continuare la doccia ma non è così forte. cosa sarà mai una doccia fredda, il corpo può sopportare. si tratta di dominare il pensiero. doveva concentrarsi e ascoltare l'acqua gelida irrigidire il cuoio capelluto, le mani fredde avrebbero strizzato i capelli più volte, i brividi avrebbero invaso la superficie del suo corpo, la sua contrattura tra le scapole ne avrebbe risentito maggiormente, ma non sarebbe morto. no. invece, è uscito insaponato e con lo shampoo sui capelli, ha indossato l'accappatoio, è andato in cucina gocciolante e ha guardato la caldaia. anche lei probabilmente lo ha guardato. ha provato e riprovato. acqua fredda. ha riempito una pentola d'acqua, una di quelle non troppo grandi per il peso, nè troppo piccole, poichè i capelli sono grossi e ci si mette un po' per risciaquarli bene. è tornato in bagno e ha chiuso la porta. ha armeggiato più di un minuto con la pentola piena d'acqua calda, pensando a come poteva fare per non rovesciare l'acqua fuori dal lavandino. poi si è deciso e ha versato una prima parte di acqua sulla sua testa piegata sul lavandino. la schiena doleva, i movimenti erano impacciati per il dolore dovuto a quella contrattura che non passa. (sta troppo tempo seduto davanti al computer?). è riuscito a liberare una prima parte della testa dalla schiuma. l'acqua rimasta era poca e non sarebbe bastata per finire il lavoro. il corpo dentro all'accappatoio era ormai asciutto, la schiuma che aveva addosso si era seccata sulla pelle. ha alzato per un attimo la testa e si è guardato allo specchio. ha deciso di farla finita. è tornato a piegarsi con la testa sul lavandino, ha preso la pentola e ha versato tutta l'acqua rimanente sulla testa. fatto questo si è strizzato i capelli, ha alzato di nuovo la testa e ha visto che ancora la fronte era incorniciata da schiuma, così come il collo, le orecchie, le tempie. ha preso un asciugamano e lo ha strofinato con forza sulla testa. una volta rivestito, con la giacca blu con le fasce bianche sulle maniche, si è concesso un'altra sigaretta.

dietro le quinte 11

8,12. venerdì mattina. Luchi è in terrazza con addosso la felpa grigio scuro. la posizione, come di consueto, è quella con il braccio sinistro piegato sulla pancia a sorreggere il braccio destro con mano destra che regge la sigaretta sempre davanti al viso. i colori attorno stanno fermi, come lui. oggi non si avverte l'incedere del sole, del raggio che avanza e scopre i confini. la stradina pedonale che attraversa lo spazio tra il campo da calcio e il condominio dove vive Luchi è grigio scuro, come la sua felpa, un grigio carico di un cielo che guarda giù, in un mattino di novembre. i cieli di sole stanno in alto, e più li guardi più se ne vanno. i cieli di nuvole ti vengono a cercare, stanno bassi, e li puoi toccare. oggi, poesia dell'io dietro al sipario. 

LA VITA CHE IO VEDO

La vita che io vedo
anela gli estremi confini
il Deserto, la Selva, e nient'altro.

Vedo che Settembre,
quello dei Rossi Boschi di Felci,
deplora la sua materia;
avrebbe preferito essere 
solo Neve, Immensità e Lupi.

Vedo che il Sole
sogna la pura Luce,
e che la Notte
rimpiange i tempi primordiali,
quando tutto era notte.

Guardo anche il mio cuore,
e scopro che i suoi desideri
si riassumono, sfortunatamente,
in due parole:
la parola Sempre,
la parola Mai.

(Bernardo Atxaga)




dietro le quinte 10

7,49. giovedì mattina. stante la sua capacità di stare fermo sulla terrazza bianca, deduco non sia troppo freddo, e la cosa mi fa piacere, dato che mi muovo in bicicletta. Luchi oggi veste grigio, una felpa o una giacca in pile grigo scuro, con cerniera. stessa posa di ogni giorno, con braccio sinistro piegato sulla pancia a sorreggere il gomito destro. mano destra che regge la sigaretta sempre ferma davanti al viso. cominciavo a preoccuparmi, non lo vedevo uscire. di solito a quest'ora aveva già consumato il suo rito. 
la terrazza bianca è esposta a ovest, motivo per cui la mattina il sole sta alle spalle di Luchi, mentre io ce l'ho davanti, a est. solo a quest'ora iniziano a distinguersi le parti in ombra da quelle in luce tra i volumi delle costruzioni attorno alla terrazza di Luchi, volumi aggettanti e rientranti, terrazze, pilastri, cornicioni, camini. se strizzo appena gli occhi, come mi insegnò il maestro di disegno che adoravo per la sua fragilità, all'unico corso di disegno che io abbia frequentato, distinguo ancora meglio le parti oscure dagli sbattimenti di luce, e potrei decidere con sicurezza dove intervenire con il colore più chiaro, se volessi disegnare o dipingere il mondo che vedo. potrebbe starci, Luchi, disegnato nel mondo che io vedo. quelle figure senza volto che si deformano e diventano altro, fanno tutt'uno con il muro, con il vento e la luce. oppure nascerebbe come figura, come presenza umana isolata, sola, vista dall'alto, in un mare di terrazze condominiali, tutte chiuse, vuote, abbandonate. un puntino visto con google map.

dietro le quinte 9


10.15 mercoledì mattina. Luchi sta sulla terrazza del suo appartamento, che fa parte di un condominio, che occupa una superficie tra la terra e il cielo nel quartiere di un territorio di una cittadina di provincia, nella sua regione, che fa parte del suo stato, che sta in europa, che sta nel mondo, che fa parte dell’universo, di questo universo. Se è vero che sono in corso mutazioni del DNA da 2 a 3 a 4 eliche, che le calotte stanno scongelando, che il campo magnetico terrestre commette pazzie, che aumentano le attività sismiche, che siamo dentro al processo evolutivo della speciazione simpatrica, mi chiedo, se fosse vero che è come ci fossero due evoluzioni in atto, la linea della parte di umanità che procede nel suo cammino senza alcun cambiamento, e la linea di quelli che hanno deciso di abbandonare la vecchia strada per saltare su quella nuova, e se è vero che più il tempo passa e più le linee divergono, e il salto da una linea all’altra è sempre più difficoltoso, e arriverà il momento che invertire la rotta sarà impossibile e dunque occorre attuare una tras – forma – azione di noi stessi, mi chiedo: in quale delle due evoluzioni in atto è inserito Luchi?

dietro le quinte 8

7,16. martedì mattina. Luchi Cresime esce a fumare sulla terrazza bianca con addosso la stessa giacca della tuta che aveva ieri, quella con colletto azzurro. posso dire che tiene sempre la stessa distanza tra sè, il parapetto della terrazza e la porta a vetri alle sue spalle. è uno spazio apparentemente inutile quello che si lascia alle spalle, conterrà per lo più la larghezza della soglia in marmo che ospita l'accesso alla stanza che io credo sia il suo soggiorno. uno spazio che Luchi dimentica ogni volta che esce in terrazza a fumare. ma quei centimetri di marmo sono determinanti per la mia pagina e non solo, accompagnano il passaggio di Luchi dall'interno all'esterno, da una stanza privata, dove nessuno sa cosa accade, ad una terrazza dove lui diventa visibile a tutti, dove in qualche modo i suoi gesti avvengono in pubblico. se Luchi non attraversasse tutti i giorni, più volte al giorno, quella soglia, io non sarei qui a scrivere dell'uomo che io credo sia meridionale. in qualche modo le sue azioni, quelle che avvengono oltre quella soglia, determinano le mie, mentre le mie, è chiaro, non determinano le sue. non perchè io scrivo che Luchi Cresime perde l'equilibrio e cade dal terrazzo questa cosa avviene. ma se Luchi Cresime perde l'equilibrio e cade dal terrazzo e io lo vedo allora io lo scrivo. questo è il motivo per cui io non sono uno Scrittore.

dietro le quinte 7

sono rientrata a casa poco dopo le 21,00. dalla strada ho guardato verso la terrazza bianca di Luchi Cresime: le tapparelle sulla porta a vetri erano tirate giù. nessun rumore, nessuna luce, nessun movimento. forse Luchi va a dormire presto la sera, o abbassa le tapparelle per mettere la parola fine alla giornata. mi chiedo quante sigarette avrà fumato, oggi, e a che ora avrà fumato l'ultima. sto abbandonando l'idea che sia un insegnante, ma non riesco ad immaginare quale possa essere la sua occupazione. sembra una persona che rimane sempre in casa. non lo incontro mai, non lo vedo mai entrare o uscire dal cortile del condominio dove abita, di fronte a quello dove abito io. se fosse un uomo agli arresti domiciliari i carabinieri gli farebbero visita almeno due volte al giorno, ma non li ho mai visti gironzolare lì sotto. vorrei sapere in quale momento della giornata si procura le sigarette. un accanito fumatore fa scorta di sigarette, le compra a stecche, non a pacchetti. forse ha qualcuno che le compra per lui, forse la sua casa è un magazzino che contiene pacchetti di sigarette anche nei cassetti di biancheria intima. 
forse un giorno Luchi Cresime ha letto un libro, ha perso il senso della realtà e da quel giorno non è più uscito dall'appartamento. da quel giorno guarda il mondo dalla sua terrazza bianca. una sorta di barone rampante sul cemento, che tuttavia non dirige alcunchè dall'alto, non baratta nulla, non s'innamora. un barone rampante sostanzialmente fermo, che non guarda giù, nè avanti, nè in alto. un barone rampante che invecchierà senza aggrapparsi alla fune della mongolfiera, perchè non la vedrà passare.

dietro le quinte 6

7,29. lunedì mattina. l'uomo che io credo sia meridionale, che d'ora in poi chiamerò LUCHI CRESIME o affettuosamente, LUCHI, è già in postazione. il suo corpo è rivolto verso sinistra, in direzione del posacenere, la testa è ferma. indossa una giacca della tuta che non ho mai visto: colletto azzurro, maniche, spalle e metà busto blu, pancia azzurra come il colletto. tiene il braccio sinistro piegato a reggere il gomito del braccio destro. la mano destra regge la sigaretta, e rimane sempre davanti al viso. visto da qui stamattina Luchi Cresime non ha sesso. potrebbe essere Ladochi Cresime, poichè i pochi movimenti che fa non sanno molto da uomo. ha un modo di stare immobile mentre fuma che mi restituisce un atteggiamento non prettamente femminile, ma poco maschile, di una donna con pettinatura maschile, un casco di capelli un po' squadrato, capelli grossi, che non si muovono al vento, riga in parte. un uomo che esce in terrazza a fumare me lo immagino piuttosto con giacca aperta sul petto, gambe larghe (che peraltro da qui non vedo) una mano in tasca, braccio con la mano che regge la sigaretta accesa steso lungo il fianco, e movimenti che lo portino ad appoggiarsi talvolta al parapetto del terrazzo, a guardare di sotto, e sulla strada. ma avendolo visto dalla strada, so, sono sicura, che Luchi Cresime è un uomo, con capelli corti castano scuro, fuori taglio, troppo folti sulle tempie e troppo lunghi sulla nuca. lui sta lì, raccolto nel suo cilindro, non occupa altro spazio che non sia quello necessario alla sua circonferenza, non si allarga, non sorprende l'aria con movimenti inconsueti. le piastrelle del pavimento della terrazza, il parapetto e la porta a vetri sanno, che quando Luchi esce a fumare non si sposta, non tossisce, non si gratta.
8,12. Luchi Cresime esce nuovamente sul terrazzo e fuma. ora indossa una giacca della tuta blu con righe bianche piuttosto larghe sulle maniche. probabilmente ha fatto colazione, si è fatto una doccia, si è cambiato i vestiti. il suo corpo è rivolto verso il centro della terrazza. prima di rientrare si volta verso la porta a vetri, appoggia la mano sinistra sullo stipite, dà un ultimo tiro alla sigaretta, si stacca leggermente dalla porta e si piega verso il posacenere. poi rientra lentamente, chiude la porta a vetri, e rimane qualche secondo a guardare dai vetri nella mia direzione. distinguo da qui le righe bianche sulle maniche della sua giacca, che spiccano nel buio della stanza. non sembra sia una persona che ha fretta di uscire.

dietro le quinte 5

6,39. sabato mattina. la luce all'interno della stanza dove abita l'uomo che io credo sia meridionale è accesa. la porta a vetri è ancora chiusa. dev'essersi alzato da poco. alle 5,30 era tutto spento. è molto probabile che quell'uomo viva solo. la stanza da cui esce a fumare credo sia il suo soggiorno. a volte la luce che si intravede fa pensare ad uno schermo acceso, come una luce fredda di un televisore, ma non ora. quella che scorgo è una luce gialla, non a soffitto, su un lato della stanza. non so dire perchè, ma immagino mobili scuri all'interno di quel soggiorno. un divano in pelle, scuro, mobili marrone scuro, pochi libri, pareti bianche, pavimento chiaro, in piastrelle. nessun tappeto. qualche quadro appeso, paesaggi innevati per lo più, rigorosamente con vetro e cornici orribili, dorate. no. quell'uomo che io credo sia meridionale non ha un gran senso estetico. le cose non fanno parte di ciò che conta per lui. riproduce nel suo ambiente quanto ha sperimentato nell'ambiente della sua famiglia d'origine. in fotocopia. fotocopia in bianco e nero. e io non ho una gran mattina, stamattina, per scrivere dell'uomo che io credo sia meridionale. sono in piedi dalle 4,00 grazie alle urla del vecchio del piano di sopra.

dietro le quinte 4 bis

8,49. l'uomo che io credo sia meridionale è uscito a fumare ancora. velocissimo a rientrare questa volta, tanto da farmi pensare che non abbia nemmeno finito la sigaretta. la terrazza bianca è tutta in ombra. il sole illumina i tetti.

dietro le quinte 4

7,30. venerdì mattina. l'uomo che io credo sia meridionale è appena uscito sulla terrazza bianca. si muove molto con la testa, ma non capisco il senso dei suoi movimenti. per la prima volta vedo che si china verso l'angolo sinistro della terrazza allungando il braccio destro. si allunga anche con il corpo nella stessa direzione, poi torna in posizione con la mano destra davanti al viso e il braccio sinistro piegato sulla pancia, a sorreggere il gomito del braccio destro. il posacenere dunque sta sull'angolo sinistro della terrazza, in basso. forse a fianco del posacenere ci sono dei vasi, delle scatole o qualche paio di scarpe. non credo tenga i contenitori per le immondizie nella terrazza bianca. se fosse così lo vedrei uscire più spesso e fare dei movimenti diversi, lavorare con i sacchi, sollevare dei pesi. l'uomo che io credo sia meridionale non fa tutto questo. lui fuma, e guarda. oggi indossa una giacca della tuta blu, con fascia bianca lungo le maniche. visto da qui è uguale a tutti gli altri giorni. di diverso però, ha la giacca della tuta blu con fascia bianca sulle maniche. data la frequenza con cui esce a fumare, non credo che quei minuti costituiscano per lui una pausa di relax. credo sia più probabile che nella sua testa i pensieri non si fermino, che anche il suo corpo rimanga in tensione, che i suoi muscoli e la sua pelle conservino la memoria fisica di quello che stavano facendo l'attimo prima di accendere la sigaretta, e presagiscano le azioni che andranno a fare una volta spenta la sigaretta. così penso che l'uomo che io credo sia meridionale sia una persona apparentemente calma, ma mai rilassata. chissà se l'uomo che io credo sia meridionale è interessato al fatto che oggi è la festa di Ognissanti. potrebbe non volerci pensare, o non pensarci affatto poichè non è religioso. o potrebbe esserne contento per il fatto che oggi è venerdì, e non si lavora. 
la terrazza bianca è di nuovo vuota dell'uomo che io credo sia meridionale.