dietro le quinte 10

7,49. giovedì mattina. stante la sua capacità di stare fermo sulla terrazza bianca, deduco non sia troppo freddo, e la cosa mi fa piacere, dato che mi muovo in bicicletta. Luchi oggi veste grigio, una felpa o una giacca in pile grigo scuro, con cerniera. stessa posa di ogni giorno, con braccio sinistro piegato sulla pancia a sorreggere il gomito destro. mano destra che regge la sigaretta sempre ferma davanti al viso. cominciavo a preoccuparmi, non lo vedevo uscire. di solito a quest'ora aveva già consumato il suo rito. 
la terrazza bianca è esposta a ovest, motivo per cui la mattina il sole sta alle spalle di Luchi, mentre io ce l'ho davanti, a est. solo a quest'ora iniziano a distinguersi le parti in ombra da quelle in luce tra i volumi delle costruzioni attorno alla terrazza di Luchi, volumi aggettanti e rientranti, terrazze, pilastri, cornicioni, camini. se strizzo appena gli occhi, come mi insegnò il maestro di disegno che adoravo per la sua fragilità, all'unico corso di disegno che io abbia frequentato, distinguo ancora meglio le parti oscure dagli sbattimenti di luce, e potrei decidere con sicurezza dove intervenire con il colore più chiaro, se volessi disegnare o dipingere il mondo che vedo. potrebbe starci, Luchi, disegnato nel mondo che io vedo. quelle figure senza volto che si deformano e diventano altro, fanno tutt'uno con il muro, con il vento e la luce. oppure nascerebbe come figura, come presenza umana isolata, sola, vista dall'alto, in un mare di terrazze condominiali, tutte chiuse, vuote, abbandonate. un puntino visto con google map.

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