8,12. venerdì mattina. Luchi è in terrazza con addosso la felpa grigio scuro. la posizione, come di consueto, è quella con il braccio sinistro piegato sulla pancia a sorreggere il braccio destro con mano destra che regge la sigaretta sempre davanti al viso. i colori attorno stanno fermi, come lui. oggi non si avverte l'incedere del sole, del raggio che avanza e scopre i confini. la stradina pedonale che attraversa lo spazio tra il campo da calcio e il condominio dove vive Luchi è grigio scuro, come la sua felpa, un grigio carico di un cielo che guarda giù, in un mattino di novembre. i cieli di sole stanno in alto, e più li guardi più se ne vanno. i cieli di nuvole ti vengono a cercare, stanno bassi, e li puoi toccare. oggi, poesia dell'io dietro al sipario.
LA VITA CHE IO VEDO
La vita che io vedo
anela gli estremi confini
il Deserto, la Selva, e nient'altro.
Vedo che Settembre,
quello dei Rossi Boschi di Felci,
deplora la sua materia;
avrebbe preferito essere
solo Neve, Immensità e Lupi.
Vedo che il Sole
sogna la pura Luce,
e che la Notte
rimpiange i tempi primordiali,
quando tutto era notte.
Guardo anche il mio cuore,
e scopro che i suoi desideri
si riassumono, sfortunatamente,
in due parole:
la parola Sempre,
la parola Mai.
(Bernardo Atxaga)
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