Natale in corso (e in corsa)

dialogo immaginario con una statuina di carta made in Mexico


Un pentagramma vuoto in fronte
e due virgole bianche, poco lontane
a proteggere le tue pupille nere
pupille ferme
occhi severi
che lasciano esplodere rughe a raggiera
simmetriche al volto puntuto
di maschera egizia senza colore
non oro, niente splendore
solo mento aguzzo

Da dove vieni?
non rispondi
per questo sembri sapere

Mi piaci

Le due anfore che porti
penso siano vuote
ma non mi fido
così guardo dentro e scopro che si,
sono vuote
meno male, penso,
solo il peso dell’argilla
come il tuo respiro,
d’argilla,
e la tua veste fragile e bianca
per poco
strappata e logora sopra un drappo lungo fino ai piedi
di un rosso verde bosco
che torna a coprirti il capo
e il collo

Mi piaci

Ti ho vista uscire una sera d’agosto
lasciavi il tuo posto
mentre nulla di te si muoveva.
Annunciata da un fruscìo
hai atteso sull’uscio
e hai scritto parole
su un pezzo di carta ripiegato.
Un amore rubato?

Raccontami allora che cosa hai sognato
nello spazio bianco di un momento
chi ti ha insegnato, e cosa?
Dici che non hai mai saputo cos’era
quel nobile suono
da dove veniva non sai raccontare
eppure viveva nelle sue parole
e lo sentivi già noto
da uno spazio remoto.
Forse dirai che eri tu quella
che un mondo non finisce con le sue creature
e tu ritorni
senza sapere
chi ti ha preceduta
e chi ti succederà.

Dove vai?
non rispondi
per questo sembri sapere

Mi piaci

So di quell’onda bianca
e di grandi domande
all’uno e al tutto
con poco riscontro
se non qualche lutto.
Potresti tentare la sorte
e già ti vedo fuggire
con niente se non te.
Sarebbe un andare
o un tornare?

Dove sei, ora?
non rispondi
per questo sembri sapere

Mi piaci

Stringi forte al petto le tue due anfore vuote
nulla di ciò che hai raccolto
le potrà riempire
ti volti e guardi indietro
un bosco di radici
sepolte, non note
di certo intrecciate a premere sulle tue fattezze brune
sulle tue braccia ossute
sulla tua fierezza contadina.

Devi andare, ora
la luce del giorno si avvicina
e non è questo il tuo posto
torna in fila
mettiti in riga
così che ancora ti possa trovare
e come me ogni tuo signore
che la vita è questa
il giorno dopo il giorno
la notte dopo la notte
e nemmeno immagini quanto semini
di bene
e di male
attorno e fuori
tra i mille colori d’inverno.

Seducimi ancora da lì
baratta il tuo schermo con una lacrima
butta la maschera di nobile fiera
e tentami con il tuo pensiero forte
tu che vivi di luce bianca
ascolta il mio tormento
so che mi vedi
attendo un tuo cenno
voltati
ti prego
non lasciare che i giorni non abbiano un nome
portali con te
per ricominciare
a dividere e ad unire
a gioire e a soffrire
ad odiare e ad amare.

Gioca ancora con me
mi piaci
sarai il mio regalo di Natale



medusa
... chiedendo come mai Medusa, sola tra le sorelle, portasse nella chioma serpenti frammisti ai capelli...Ella era stata bellissima, oggetto della speranza e della competizione di molti pretendenti, ma la sua più grande dote erano i magnifici capelli... Si dice che il re del mare violentò la giovane nel tempio di Minerva: allora la figlia di Giove si voltò indignata, coprendo i suoi casti occhi con lo scudo, e perchè il fatto non restasse impunito, trasformò i capelli della Gorgone in orribili serpenti. E anche ora la dea ostenta sul petto i serpenti che ha generato, per riempire i nemici di stupefazione e di terrore...

Ovidio, Le metamorfosi LIBRO IV


l'Invidia
...Senza esitare si diresse allora alla casa dell'Invidia, nera di squallore e di marciume...la dea scorge l'Invidia intenta a mangiare carne di vipera...La magrezza le assedia le ossa, il suo sguardo è sempre bieco, i denti sono neri e corrosi, ha il petto pieno di livido fiele e la lingua cosparsa di veleno. Non sa cosa sia il riso, se non quello suscitato dalla vista dei dolori altrui...accompagna col suo sguardo obliquo la dea che si dilegua...poi afferra il bastone avvolto da una spirale di spine; è tutta coperta di nubi nere e dovunque arriva calpesta i fiori dei campi, dissecca le erbe, strappa le cime dei papaveri, inquina col suo alito l'aria che gli uomini respirano, le case, le città..

Ovidio, Le metamorfosi LIBRO II


ricevuto

poca luce ancora
sulle strade terrose
confini affollati di sabbia e sangue
di nuovo sirene
a separare il giorno dalla notte
la luce dalle tenebre
il cielo dalla terra
gli uomini dagli uomini
ti cerco con parole di speranza
mi rispondi, grazie a dio
con l'augurio di un buon giorno


mentre le voci cantano i numeri

sta per piovere
natura
in aumento
goccia lacrima
per
finire al mare
foglie
vermi
asfalto lucido
camini accesi
di poco
fuoco
cancello chiuso
serrande
abbassate

frigo vuoto

e vorrei

e vorrei portare
le mie parole sulle tue
vivere la trasformazione
del battito orientale
sorprenderti ancora
lasciarti immobile
e silente
a tentare di ripararti
dal riverbero di un suono mio

accadrà?


la fame

La Fame scavata dal digiuno...
La trovò in un campo pieno di pietre, che cercava di strappare con le unghie e coi denti i rari fili d'erba. Aveva i capelli irti, gli occhi infossati, il viso pallidissimo, le labbra bianche che sembravano coperte di muffa, la fauci inaridite dal tartaro, la pelle dura e tesa attraverso la quale si potevano contare gli organi interni; le ossa spuntavano come nude sotto la curva delle anche; non aveva ventre e al suo posto c'era un vuoto; la cassa toracica sembrava in bilico, sorretta a stento dalla spina dorsale. La magrezza aveva fatto sì che sembrassero più grosse le giunture: gonfie erano le rotule dei ginocchi e protuberanti in modo esagerato i talloni...

Ovidio, Le metamorfosi LIBRO VIII
aracne

Aracne sola non batte ciglio. Tuttavia arrossisce di un improvviso rossore che le colora il viso suo malgrado, per subito scomparire, come accade all'aria che si tinge di rosa al sorgere dell'aurora e poco dopo schiarisce col levarsi del sole...
Subito, al contatto col veleno, all'infelice cadono tutti i capelli e contemporaneamente le si rimpiccioliscono il naso, le orecchie e la testa: anche tutto il resto del corpo si riduce. Questo corpo reca attaccate ai lati dita sottilissime con funzione di gambe e tutto il resto è ventre, da cui ella emette un filo: così continua come ragno a tessere tele come prima...

Ovidio, Le metamorfosi LIBRO VI


narciso 1

arrivederci

la tua cortesia è così inutile,
sputami addosso con più verità!


interrogazione

è lo spazio bianco
che ogni volta mi fa sussultare
come ora
di paura
e prego un dio
che non ho mai incontrato
di rimanere viva
fino all'ultima ora

hai saputo dirmi che è tutto

quello che non sai
è che lì ancora, io mi perdo
e perdo





in treno


Lui voleva guardarla da dietro.
L’aveva vista arrivare da in fondo, gonnellina corta in chiffon nero e calze velatissime nere.
Stuzzicadente in bocca, si trovava tra la gente in attesa tra le due porte, e si era spostato lentamente in modo da arrivarle alle spalle. Lei di fronte ad una delle due uscite, guardava fuori, lui dietro, guardava indisturbato il suo fondo schiena e quel paio di gambe sinuose fuoriuscire da una minigonna troppo corta e troppo leggera, ammiccando ai compagni di viaggio che gli sorridevano intuendone i pensieri. Lei, di almeno vent’anni più giovane, si era accorta subito di quegli sguardi insolenti, e tradiva un leggero imbarazzo. Il treno continuava a rallentare e le persone in attesa iniziavano a fare pronostici sul lato da cui sarebbero scesi. Nessuno poteva muoversi più, lo spazio era stato occupato del tutto, altre persone rimanevano in coda nei corridoi e tra i passaggi dei vagoni che confluivano verso le uscite. Finalmente il treno si fermò. La ragazza abbozzò un sorriso soddisfatto nel capire qualche secondo prima che lei sarebbe stata l’ultima a scendere, perché le porte si sarebbero aperte dalla parte opposta alla sua, e si voltò.
Lui si tolse lo stuzzicadenti dalla bocca, girò sui tacchi e scese prima di lei, sconfitto.

e poi

to be continued

viandante

il creativo


"Saprai giocare con me ai pigmei del Burundi
al salto del rosso, al giro del viola
questa giostra di carta sarà tua
e potrai volare sull'ottagono di vetro
perchè tu sai che da qui
è splendida la vista sulla città!".
Guardo lei, gentile e profumata
"il genio del rifiuto!"
dirò così,
e sarà pasta al pomodoro.


carlo e ada


carlo e giorni violenti
sulla strada di casa
la pioggia non smette
e picchia il portone
strada bagnata
cartoni inzuppati
corde ormai mute
tra lamiere insanguinate
ada si stringe e ascolta le storie
mostra i capelli di tetra figura
spaccio di note
piccoli furti
seduti per ore sul muro di cinta
sono i violini
i padroni del cielo
qui a milano
alle 5 e trenta del mattino

di carlo e del suo violino


Milano. Cinque e trenta del mattino. All’angolo di via Bramante, in direzione della fermata del tram per il cimitero monumentale, viene rinvenuto il cadavere di un giovane di età apparente tra i 25 e i 30 anni. La strada è bagnata, ha piovuto tutta la notte, e il corpo appare riverso sul marciapiede disteso sul fianco destro, quasi completamente coperto da pezzi di cartone inzuppati e sporchi e con il volto rivolto verso il muro.
Mi reco sul posto per i rilievi del caso e a stento trattengo la mia rabbia nel procedere all’identificazione. Si tratta di Carlo, il fratello minore di Ada, mia compagna di studi all’ultimo anno di liceo. Overdose da eroina. Alzo la testa, e il mio sguardo corre lungo il muro di cinta del centro sociale che si trova nelle immediate vicinanze. Provo ad immaginare dove può aver trascorso le sue ultime ore, in compagnia di chi, ma alla necessità di indagare sui fatti si sovrappongono immagini di lui ragazzino, ed è un mesto ripensare al suo bellissimo viso, e alle sue mani bianche e affusolate.
Lo incontravo sempre alla fermata del tram. Io passavo in bicicletta poco prima delle otto, e lui salutava beffardo in compagnia di altri ragazzi con il suo violino sotto il braccio, il sorriso sornione e l’aria di chi sa di valere molto più degli altri come musicista. Era tenace nello studio, appassionato e fiero, ed erano in molti a riconoscere il suo precoce talento. Aveva un rito tutto suo prima di iniziare un concerto, raccontava storie di violini che prendevano vita in un mondo surreale, e lui gli attribuiva un cuore, ma soprattutto un’anima. Era un artista. A raccontarmi di lui Ada si stringeva sulle spalle con il pudore di chi sa distinguere la verità da un elogio.  

Fu durante una lezione appena iniziata nell’aula di latino che arrivò la notizia del tragico incidente. Ada si precipitò all’ospedale, e da quel giorno la sorte cominciò a mostrare l’altra faccia. Carlo era finito tra le lamiere del tram scontratosi in città con un autobus, e l’uso del suo braccio destro fu irrimediabilmente compromesso, così come la sua carriera di musicista.
Finito il liceo persi di vista tutti e due, ma ritrovai Ada a distanza di anni una sera in pizzeria, visibilmente cambiata nell’aspetto e nei modi. Si tolse il berretto di lana mostrandomi le poche ciocche di capelli che ancora le erano rimaste, vergognandosi con me per il suo aspetto così malato e tetro. Iniziammo a parlare, e mi raccontò della sua disperazione per quel fratello che non conosceva più.
Dopo l’incidente Carlo aveva dovuto passare molto tempo tra riabilitazioni e cure mediche per il parziale recupero dell’arto, e ad ogni intervento perdeva sempre più fiducia nelle proprie possibilità, dovendo accettare ben presto di non poter mai più suonare il suo violino.
Lasciò gli studi e si cercò un lavoro come barista in periferia, ma durò poco, e cominciò a girovagare vivendo alla giornata, incurante di costruirsi un futuro che oramai non lo interessava più. Vendette tutto quello che poteva fruttargli un po’ di denaro, compresa l’intera collezione di dischi, e si allontanò da casa, senza dare troppe spiegazioni.
Dopo qualche anno di silenzio si presentò in famiglia dicendo che era appena uscito dal carcere, e che non aveva un posto dove andare. Non era la prima volta che vi finiva dentro, sempre per piccoli furti e spaccio di droga. Da quel giorno tornò a vivere a casa, ma non faceva che ostentare atteggiamenti intimidatori e violenti.

Guardavo Ada e pensavo che il suo era un racconto che avevo sentito troppe volte, ma non riuscivo ad accettare il fatto che si trattasse di Carlo, di quel ragazzetto che viveva in simbiosi con il suo violino, a cui di colpo era stato impedito di sognare.
Quella sera Ada mi confessò di desiderare che Carlo fosse affidato ad una struttura in grado di seguirlo, poiché la sua famiglia non ne aveva più i mezzi. Le diedi il nominativo di un responsabile di mia conoscenza in una comunità per tossicodipendenti promettendole che l’avrei aiutata se avesse deciso di provare. Poi non ne avevo saputo più nulla.
Fino a questa mattina.


armadio lucido

hanno trovato il loro rifugio
canne pesanti e buchi neri odorosi
la domenica li pulivi
ed io non capivo perchè li tenevi.
appendice di forza
muscolo ferroso
metro quadro difeso
dagli attacchi del sentimento.


cercasi creativo


Un palazzo antico in centro città ospitava al terzo piano l’ufficio del Sig. Mitis. Cercai il nome della sua agenzia di marketing fra le targhe incise sulla colonna in marmo a fianco del  portone d’ingresso, e premetti il pulsante in ottone. Rispose una voce femminile molto delicata, che mi pregava di salire le scale poiché l’ascensore era momentaneamente fuori servizio. Il segnale dell’apertura elettrica del portone si udì appena, confuso nel frastuono del traffico. Mi asciugai un po’ la fronte ed entrai. L’ingresso del palazzo era semibuio, ma offriva subito una piacevole frescura che si propagava dai marmi del pavimento, dai muri spessi finemente intonacati e dalla ringhiera in ferro battuto che si snodava sinuosa, accompagnando i gradini dello scalone. Non avevo niente con me che potesse suggerire una qualche idea di operosità, come una cartellina, un’agenda in pelle, una borsa business, o un auricolare avvinghiato all’orecchio. Niente. Tuttavia il vestito era perfetto, e il colletto della camicia  che fuoriusciva dalla giacca si mostrava candido e inamidato.
Salutai la segretaria presentandomi a lei e chiedendo del Sig. Mitis. Con la stessa cortesia con cui mi aveva invitato a salire mi pregò di attendere qualche minuto indicandomi la poltrona in pelle nera che potevo occupare.
Non riuscivo a concentrarmi sul colloquio che stavo per avere, mi limitavo a guardare la mia scarpa lucida che appariva e scompariva dal mio campo visivo per il movimento intermittente della gamba destra accavallata sulla sinistra, e sbirciavo soddisfatto il calzino perfettamente coordinato. In realtà era una situazione che negli ultimi mesi si era ripetuta sino alla nausea, e oramai nutrivo poche speranze di trovare un lavoro che potesse somigliarmi anche solo lontanamente. A quell’appuntamento ci ero arrivato per caso, leggendo un annuncio che mi aveva incuriosito per il testo che diceva così: agenzia di marketing leader nel settore valuta curricula per assunzione collaboratore in ruolo di responsabilità. Retribuzione adeguata al ruolo. Requisiti necessari: forte motivazione e creatività. 
“Signor Terisi?”.
“Si…”.
“Angelo Mitis, piacere. Prego mi segua, accomodiamoci nel mio ufficio”.
Mi precedette con passo lento ed elegante, ed entrammo in una stanza poligonale, con cinque pareti, di cui tre erano finestrate da pavimento a soffitto e offrivano una splendida vista sulla città, seminascosta dalla regolarità delle sottili lamelle di tende veneziane che lasciavano penetrare una quantità di luce appena sufficiente a guardarci negli occhi. Non si udivano rumori in quella stanza, solo qualche fruscio delle sedie sulla moquette grigia, ed un leggero ronzio della pala che muoveva l’aria ruotando al centro del soffitto. Una volta seduti uno di fronte all’altro rimanemmo in silenzio per il tempo che il Sig. Mitis impiegò a dare ancora un’occhiata al curriculum che gli avevo spedito. Si tolse gli occhiali e li posò sulla scrivania, mi guardò di sotto in su e disse:
“Io adoro i copricapo di ogni genere. Quello che indosso oggi l’ho acquistato in Africa dieci anni fa, da una tribù di pigmei del Burundi. Loro se ne servono per riti propiziatori, e i colori variano a seconda di chi li indossa. Questo era di un capo tribù. Ho barattato di tutto, ma si tratta di un pezzo fantastico. Non mi piace fare abbinamenti con il vestito. Preferisco i contrasti di colore e di stile, ben visibili, al limite dell’eccesso. Le va di bere qualcosa Signor Terisi?”.
“ Quello che prende lei va bene. Con ghiaccio. Grazie. Posso farle una domanda?”
“Prego”.
“L’ufficio è tutto qui? Voglio dire, l’agenzia di marketing è questa?”.
“L’ufficio uno se lo fa dove vuole Signor Terisi, non è necessario un luogo fisico, può bastare la propria mente…e comunque, visto che la sua curiosità mi spinge ad entrare nel vivo del nostro incontro, le dirò il motivo per cui il suo curriculum mi ha colpito. Lei ha una serie di titoli di studio e di attestati di frequenza a corsi di varo genere che uniti ad un’esperienza lavorativa nei luoghi di lavoro più disparati fa pensare ad una persona che non sa come mettere a frutto le proprie energie e conoscenze, proprio come me.”
“Mi deve scusare Signor Mitis, ma non capisco”.
“Si, io in questo momento della mia carriera ho questo problema. Ho le idee ma non so come metterle a segno. E credo che lei possa aiutarmi”.
“Ma non mi sono ancora presentato, in realtà lei non sa nulla di me”.
“Avrà notato che qui ci sono telecamere un po’ dappertutto. Mentre suonava il campanello, mentre saliva le scale, mentre sedeva in attesa che io uscissi, lei non pensava al motivo per cui era qui. Ha osservato l’androne del palazzo, ha sfiorato con il palmo della mano i muri mentre saliva le scale e guardava il marmo dei gradini, giocava con il movimento della propria gamba, si guardava attorno ed era tutt’uno con gli abiti che indossava e con gli oggetti che guardava … ho una particolare predilezione per le persone che non si consegnano mai completamente, che danno l’impressione di essere sempre con la mente altrove. Di queste solo alcune sono autentici artisti. Sono quelli che alloggiano una sensibilità superiore, fatta di intuizioni che non obbediscono ad alcuna legge, animi capaci di percepire la bellezza, la poesia, la luce … mi aiuterebbe a scrivere un romanzo, Signor Terisi?”.
“Posso chiederle cosa ha a che fare tutto questo con l’agenzia di marketing?”
“Fa parte di una strategia di promozione del marchio. Creare un personaggio che fuoriesca dagli schemi del solito titolare d’azienda oberato dal lavoro, iperattivo, calcolatore, flessibile e sempre presente. Il mio nome è la mia azienda, ed io voglio un’immagine nuova, maggiormente legata all’idea di uno spirito libero. Voglio scrivere un romanzo che possa appassionare, commuovere, indignare, un romanzo che scuota gli animi e che sia stato scritto da Mitis in persona. Voglio spiazzare la concorrenza in fatto di immagine, indicare una via nuova nel panorama della comunicazione. Sono un titolare d’azienda che ha anche un’anima. Voglio presentarmi in fiera con il mio libro oltre che con i miei prodotti, voglio che nascano dei circoli culturali all’interno delle aziende dove si discuta, si legga, ci si confronti sull’arte, sulla letteratura, sul cinema, sul teatro. I manager devono amare la bellezza. Non ci si può arenare ai costi di gestione. Sono stanco dell’immagine rassicurante, prevedibile e omologata che mi sono costruito negli anni…”.


“Signor Terisi?”
“Si …”.
“Sono Massimo Corsi, collaboratore del Signor Mitis … ci scusiamo per averla fatta aspettare così a lungo ma i colloqui si sono protratti oltre l’orario previsto e abbiamo ritardato con il suo appuntamento. Può accomodarsi da questa parte, la seguo io perché il Signor Mitis è dovuto scappare o perdeva l’aereo”.
Mi resi conto di essermi completamente estraniato dalla situazione. Avevo azionato un film nella mia testa di come avrei voluto fosse il colloquio ed ora mi ritrovavo a presentare il mio curriculum ad un brillante ed energico giovane che probabilmente mi aveva già inquadrato trovandomi quasi assopito in poltrona nella sala d’attesa. Mi strinse la mano in modo standard, con un sorriso standard, vestiva come le altre dieci o quindici persone che avevo visto passare in quell’ora di attesa, teneva dei fogli nella mano sinistra e si muoveva velocemente per trasmettere la sua energia lavorativa. Si sedette alla scrivania agitando il mio curriculum in maniera entusiasta, sfoderando un sorriso ora sguainato come fossimo vecchi amici. Alle pareti del suo ufficio c’erano dei manifesti di quadri impressionisti incorniciati con poche lire, e nemmeno la scelta dei colori per le cornici era stata felice. La poltrona su cui sedeva era di tipo presidenziale, e il piano della scrivania era in vetro bordato di pelle scura. C’era infine un’unica libreria lucida e nera  che ospitava alcuni grossi registri e fascicoli. Sull’unico spazio libero una foto dei figli su cornice d’argento. 
“Dunque Signor Terisi, mi racconti qualcosa di lei”. 
“Mah, quello che volevo dire l’ho scritto sul curriculum … è tutto lì”.
“Non ha niente da dire? Ambizioni, progetti, obiettivi, mi faccia capire perché è qui oggi! Abbiamo fatto altri colloqui con altri aspiranti collaboratori e questo è un posto che fa gola a molti, lo sa? Quando sono stato assunto io il Signor Mitis mi fece un’unica domanda, la stessa che le ho appena fatto, ed io parlai per mezz’ora. Se si vuole qualcosa dalla vita bisogna lottare per prendersela, non crede? Perché dovrei scegliere lei per questo lavoro? Conosce la nostra azienda?”.
“Mah, ho letto che vi occupate di marketing, e sono qui anche per saperne di più  …”.
Attese perplesso qualche secondo con lo sguardo ancora sui fogli che aveva in mano, sospirò e disse:
“Signor Terisi, io credo che lei abbia bisogno di capire meglio cosa vuole fare. Non si può cercar lavoro sparando nel mucchio. Non me la sento di proporle questo posto. Provi a rifletterci un po’ su, d’accordo?”.
Uscendo dall’ufficio salutai la segretaria che un’ora prima mi aveva fatto accomodare in attesa. Salendo in macchina mi dissi che avevo fatto bene a rifiutare l’offerta. Ero andato a quel colloquio perché volevo un ruolo da creativo, non mi interessava un posto da ragioniere della comunicazione. L’avevo fatto per troppo tempo il ragioniere ed era un lavoro che odiavo. Certo, il modo con cui avevo rifiutato era stato geniale, mettere l’interlocutore in condizione di cacciarti per disperazione. 
Procedevo nel traffico delle cinque del pomeriggio con addosso un leggero nervosismo mentre ripensavo al contenuto del colloquio che avevo avuto con il Signor Corsi. Alla terza sigaretta, nel tratto di strada che preludeva alla piazza del mio paese, avevo chiara in mente l’espressione che avrebbe fatto quella sera mia moglie. Vedevo due occhi increduli che mi avrebbero fissato per qualche secondo, per poi deviare sul piatto di pasta al pomodoro. Ed io avrei dovuto spiegarle che per un posto come quello non serviva fare tanti chilometri ogni giorno. Ne sarebbe valsa la pena solo nel caso in cui mi fosse stato proposto il lavoro per cui avevo risposto all’annuncio. Ma non era andata così. Era stata solo l’ennesima perdita di tempo. Un’altra delusione. L’avrei informata del fatto che la mia vita doveva iniziare a prendere la direzione che volevo io, e che quindi dovevo smettere di accettare qualsiasi tipo di impiego.
Ma le ultime parole furono le sue:
 “Anche la mia vita deve iniziare a prendere la direzione che voglio io. Domani mi trasferisco da mia madre”.   


io aspetto

io aspetto
(dicono che si può)
quella fonte energetica
di fantastiche proporzioni
che spinga il mio razzo
lontano dalla gravità terrestre
tuttavia
non possiedo la mappa
per navigare negli spazi celesti.

galeotto fu
quel timido assaggio

Venezia

mi è bastato parlarti
per sentire l'oriente



GIOVANNI TESTORI

RESTA IN DISPARTE

Resta in disparte
è giusto
La tua voce non ha qui senso
e peso.
Giochi una carta
che non sarà riconosciuta,
chiami un libro l’amore
l’altro l’intitoli
per sempre.
Non salvato da alcuno
finirai solo
a credere che la parola
non sia un gioco
ma un’ombra atroce
dell’incarnazione
un povero resto

(da Per sempre, Feltrinelli, 1970)

piazza pulita

il vuoto non è mai vuoto abbastanza
ci deve sempre essere qualcuno o qualcosa che si infila
oggi farei piazza pulita
alzi la mano chi non ha mai fatto pensieri di distruzione
che me ne faccio dei tuoi discorsi sulla morte
che me ne faccio di un tubo rotto
che me ne faccio di pollo arrosto e patate fritte
che me ne faccio del fiore più bello

è tutto così provvisorio
che vorrei renderlo definitivo




dalla tua parte


lacrime migranti
mimano silenziose
mutamenti minimi.
riparo scolpito nel buio della carne
che avvolge e preme.
gioco di scacchi con altro di me


M.T.

pazzo


il medico
Scassa, spacca, sfascia
cancella ogni cosa
fatti generare dalla terra nera
dal sasso bruciato
dalla polvere e dal petrolio
dalle mani incavate
dalla fame e dal sangue  
dal sangue bevuto
dal sangue
dal sangue
dall’anima esangue
scava al centro
non di lato
la tua tregua è finita nel vuoto di memoria
ti spingeranno se avrai fortuna
loro a piedi e tu seduto
e non potrai riprendere fiato
né ricucire quell’orlo strappato
vuoto di memoria
pausa
vuoto di memoria
non puoi riprendere da dove hai lasciato
pazzo
sei pazzo
e nessuno ti vuole

(dedicato al dolore indicibile di Francesco Mastrogiovanni e a chi come lui ha subìto)

devo pensare

studio di teste

vota antonio

Ho visto il rosso, l'azzurro, il giallo, il blu, molto blu, tanto blu.
Di tutti i colori.
Il colore buono è bianco. Ho scoperto che il colore buono è il bianco, perché rimane fedele, il resto si ribella.
E' vero, è vero.
Il grigio si intristisce e butta acqua.
Il viola scappa al tramonto.
Il nero si fa nero.
Il rosso dura poco.
Il giallo brucia tutto.
E l'azzurro costa caro.
E a fare il cielo ce ne vuole; mica solo un tubetto. Ce ne vogliono 100, 200, 300 anche 400 tubetti per fare il cielo.
E quando sono insieme i colori,
cospirano.
Si buttano giù storti, a pataccone.
Però i colori sono belli visti da dietro.
Davvero.
I colori sono belli visti da dietro.
Te l'hai mai visto un rosso da dietro?
Non sta fermo. Cambia. Se gli vai addosso schizza via come un gatto.
Però... se c'hai la chiave... vedi i colori più belli...

(uomo d'acqua dolce - antonio albanese. oggi ho bisogno di questo per partire)

up and down

rosso piano

tutto da rifare


arrivo al bar e parcheggio
la mia macchina frigge e fuma
temo un’esplosione
la guardo mi interrogo e me ne vado
due tramezzini e una coca
mi siedo fuori e la guardo
fuma ancora, ma solo un po’
pago, perché lì mi conoscono, e torno da lei
apro il cofano, scotta tutto, non so cosa fare
richiudo salgo accendo tappandomi le orecchie e riparto verso casa
arrivo e parcheggio
riapro il cofano
il solito vicino di casa si avvicina e si informa
fingo che sia una cosa da poco
quando capisce che manca acqua nel radiatore mi dice di aggiungerne
dico che non ho neanche una bottiglia in garage
lui mi guarda allibito e dice che l’acqua per il radiatore non è l’acqua che beviamo
faccio per salire ma mi stoppa ancora dicendomi che al distributore ci devo andare in bici, non in macchina, lui non farebbe nemmeno un metro, si brucia tutto
ringrazio a denti stretti, chiudo il cofano e salgo in casa, devo pensare
l’unica cosa da fare è sedersi e fumare, per simpatia
la banca mi aspetta
devo andare a piangere un po’
sono in ritardo
carico una lavatrice e il detersivo finisce
la accendo ugualmente, andrà con l’ammorbidente
infilo gli occhiali scuri
uscendo potrei incontrare ancora il mio vicino
aumento la velocità dei passi verso di lei
non c’è nessuno
salgo e scappo
tanto il distributore è vicino
arrivo ed è aperto, ma self service
ne tiro una, piano
mi dirigo verso il borgo treviso
ma devo attraversare la piazza, fa un caldo boia c’è traffico e tutti i semafori sono rossi
non so se correre forte o piano
non so più niente
freccia a destra
chiuso anche questo
freccia a destra
c’è un omino che lavora
gli spiego che la mia macchina fuma e credo manchi l’acqua nel radiatore
mi dice di aprire il cofano
salgo al posto di guida, tiro la leva e mi scende il volante sulle ginocchia
comincio a sudare
tiro l’altra leva e si apre il cofano
guarda e mi dice che è completamente vuoto, che deve esserci un motivo
mi piace quest’uomo, mi fa ragionare
ipotizzo che ci sia una perdita
lui annuisce
inizia a fare il suo lavoro
gli sto vicino per imparare
ruota la testa verso di me e mi dice che sicuramente la temperatura era salita
gli chiedo come si fa a capire
ride
rido anch’io finalmente, ma non per la mia macchina
è che mi sembra un ventriloquo
muove le labbra ma la voce non viene da lui
faccio la signora e chiedo che mi venga aggiunto anche il liquido per i vetri
crea la sua pozione in un innaffiatoio ed inizia a svuotare
ride ancora
mi dice che era completamente vuoto
alza la testa e guarda il vetro
mi chiede come faccio a vedere fuori
rido
ride
decide di lavarmelo
gli chiedo di controllare anche l’olio
guarda
ne manca un chilo
vado a pagare
mi sposto al bar e ordino un caffè
ormai sono salva
mi siedo e ne fumo una, lì, al distributore
passa un camion brutto, bellissimo
madre teresa dipinta a mani giunte
che meraviglia
un camionista e madre teresa
dall’altra parte della strada la gru gialla si muove sopra i tetti
cosa cazzo costruiscono ancora che la gente non ha soldi
mi muovo
arrivo in banca, mi inginocchio e prego
me ne vado
arrivo al lavoro e parcheggio
due neri seduti sulla panchina mi guardano e guardano la mia macchina
guardo sotto
piscia acqua
tutto da rifare

molte cose sono cambiate da allora...una di queste è che ho smesso di fumare

prove tecniche per un discorso su arcangela


STRETTO  E - O

Smetto
Gretto
Spreco

Dolore
Onere
Onore

Sospetto
Momento
Letto

Morte
Come
Persone

Nero
Debole
Confessore

Nome
Demone
Convento

Estremo
Opere
Tempo

Freddo
Dottore
Dovere

Potere
Oppresso
Elenco

Errore
Spento
Mezzo

 
LARGO  A – O

Parto
Porta
Sano

Rosa
Grato
Caldo

Rapporto
Sposata
Sopra

Sosta
Corsa
Carro

Raso
Montagna
Lavoro

vince stretto 30 a 15
ne avevo il sospetto

abbinamento





camicia a fiorellini nei colori
rosa carne, verde salvia e nero.
giacca color verde salvia e jeans neri
lei era rosa carne


inizio di giornata


esco dall’ufficio per prendere un caffè al solito bar. prima di entrare esito un attimo, perché noto appesa al muro l’epigrafe di una donna che conosco di vista. è la figlia di maria, una pittrice ora molto anziana che vive in paese e che ho conosciuto a Venezia molti anni fa. è morta sua figlia. che destino ingrato, penso, sopravvivere ai propri figli. entro al bar e trovo una situazione che sembrava essere presagita da quella mia esitazione nell’entrare. trovo tutti in lacrime. il gestore più anziano del bar, nonché nonno del bimbo di due anni, è stato investito mentre andava in bicicletta con il nipotino da un’auto alla cui guida c’era una donna, che continua a girare per il bar scusandosi per l’accaduto. il bimbo è urlante in braccio allo zio e ha il viso sporco di sangue, la sua giovane mamma urla in lacrime al telefono alla nonna di scendere al bar perché è successo un incidente. lo zio tenta di calmare il piccolo e la sorella. qualche secondo e arriva la nonna, che si porta le mani sulla bocca, inizia a tremare e piange, e urla, e va da una parte all’altra. mi sento di prenderla e di tentare di calmarla. le dico che il bambino piange e si muove, significa che reagisce. nel frattempo il nonno va dietro al banco e sembra diventato muto, con il broncio. la signora che era al volante dell’auto trema tutta e tenta di chiamare la figlia al cellulare, ma la figlia non risponde. le dico di sedersi e le chiedo se desidera un bicchiere d’acqua. mi ringrazia e lo accetta, dicendomi che questa mattina non se la sentiva di andare in macchina, che aveva una giornata nera, e ora non ha più coraggio di guidare. vado al banco, ma la nonna è sempre più disperata e non riesce a muoversi. Entrano due impiegate dell’ufficio vicino al mio. Notano la situazione di disperazione dei gestori del bar, ma chiedono lo stesso se possono avere un caffè. alla fine riesco ad avere un bicchiere d’acqua per l’altra donna che nel frattempo è riuscita a comunicare con la figlia e ora la aspetta seduta in lacrime. il bimbo è stato portato al pronto soccorso dallo zio con la mamma, che era visibilmente sotto shock. la nonna da dietro al banco insiste nel chiedermi se ero entrata per un caffè, a quel punto dico si per darle modo di fare qualcosa, e mi fa un caffè, senza smettere di piangere. si rivolge al marito e gli dice di andare anche lui al pronto soccorso, per farsi controllare dopo la caduta. lui risponde con un gesto di stizza e una bestemmia, dice che non si è fatto nulla e torna nel suo mutismo. 
bevo il caffè, è cattivo, lo pago ed esco.
ragioniere

appuntamento con il poeta


Entro in Chiesa per vedere com’è.
Adocchio subito una cappella con la pala della Misericordia
che è un soggetto sempre molto strano,
per quelle figurine dipinte sotto al manto, ai piedi della Madonna
che sembrano mostriciattoli,
sproporzionati.

Mi fermo a leggere la targa affissa ad un pilastro
e leggo la didascalia.
Un prete molto giovane di spalle
sta aprendo una scatola di cartone
con i lumini di cera.
Non mi ha sentita dietro di lui
si volta e fa un salto con un mezzo urletto
si mette la mano sul petto
e mi guarda dicendo ‘è la seconda volta, oggi che prendo paura!
Prima con una signora con i suoi due bambini…’
Lo guardo e dico
‘mi sembra abbastanza prevedibile
in un luogo come questo
immaginare di avere qualcuno alle spalle’.

Il prete giovane si adombra, improvvisamente,
china la testa
e continua il suo lavoro sulla scatola di cartone
che conteneva i lumini di cera.
Non mi guarda più
non mi rivolge più la parola.

Esco per ascoltare il poeta
che dice ‘perché non provare a scrivere di una forchetta?’.

Poi lo fece con un cucchiaio
poi con un coltello.

22 settembre 2012

c'era una volta



pranzo domenicale


il sorriso dimezzato di un parente
si accompagna al gracchiare di altalena
mosche assatanate precipitano e ripartono
fuoco e fumo di carne e sangue
mi riportano a tutto quello che ho dimenticato
incontro con estranei
riunione di famiglia
tutti sempre più vicini alla terra
ognuno schiacciato dal proprio peso
vergato da rigagnoli di appiccicosa angostura
e non c’è nulla che ecceda il significato
solo una danza sotterranea
regolata da lingue biforcute che si dipanano lente
invisibili
governate dall’oscillazione del tempo

e tutto si esaurisce
nell’essere compreso

un giorno dell'anno 2009

rientro


Nello scompartimento affollato
le voci fuori campo si accordano al suono
di una parlata russa dallo sguardo obliquo
La giocatrice di hockey mi dorme accanto
rifugiata e lasciva
respiro alcolico
labbra di fragola
ingaggiata soltanto dal fiacco torpore estivo
Io sembro un giocattolo in discarica
testa cariata
sguardo di plastica
indecisa
se amare o no
Whitman.

19/05/09

autoritratto


Non ho mai calpestato i vermi sull’asfalto lucido dopo il temporale
solo perché mi fa schifo il rumore che fanno sotto la scarpa.
Sono scappata dalle api attorno a mio figlio quand’era piccolo
perché avevo paura che pungessero me (lui lo sa).
Non ho mai preso a bastonate le signore che mi passano avanti al supermercato
solo perché sono una persona educata (e un po’ cogliona).
Ho sottratto un pacchetto di chewingum in un tabacchino a Venezia solo per timidezza: io volevo pagare ma nessuno mi dava retta.
Sono andata a Padova con un’amica, ci siamo sedute in un bar e abbiamo bevuto dalla bottiglia che ci siamo portate da casa (avevamo solo i soldi per il biglietto del treno, faceva freddo e volevamo stare al coperto).
Riesco a dire solo cattiverie con uno sguardo di plastica. Sto lavorando sullo sguardo.
Non ho mai sopportato le pene d’amore, di qualunque natura e provenienza.
Spesso non so cosa dire.
Raramente dico quello che so.
Vorrei essere un uomo, ma se fossi un uomo vorrei essere una donna.
Adoro le fragole (anche con la panna, ma non sempre).
Ho un grande rammarico: non sono mai stata ad un concerto di De Andrè.

un giorno dell'anno 2009
da Testori

cane

anche oggi so
di quell'urlo vigoroso che precede la caduta
di muscoli tesi
e di poca carne.

vattene via cane
e piantala di guardarmi!

frammenti di un discorso amoroso

erano pensieri sulla soglia

erano pensieri sulla soglia
davano peso al controcanto
simil gioia, simil pianto

e trattieni rivoli lievi di 
lacrime ematiche




Divagazioni


Ascensore 1   non ci sono più le mezze stagioni

Buonasera, tutto bene?
Buonasera. Si grazie
Prego! Dopo di lei!
Grazie.
Anche per oggi abbiamo lavorato! E tanto!
Già.
A casa tutti bene?
Bene, bene, e voi?
Si bene, però sono stanco, pensi che sono uscito di casa             questa mattina alle sette e rientro ora, per cena! Sarà vita questa? Si lllavora ebbasta!
Eh, lo so, però
No, no, non si può. Ma tra poco me ne vado in pensione he he, e allora mi riposo, ah si, RI-PO-SO! Oggi faceva pure un caldo fastidioso, ho lasciato l’auto nel parcheggio sotto il sole e quando sono risalito era bollente, come fosse estate! Una sofferenza! Non si può! Non si può!
Eh, però, quando fa freddo ci lamentiamo,  e quando fa caldo
No, il problema è che non si sa come vestirsi, non ci sono più le mezze stagioni! Bene, siamo arrivati, dopo di lei!
Grazie.
Buona serata!

... nell'anno 2010

Divagazioni


Ascensore 2   lui si diverte

Buongiorno!
Buongiorno, prego.
No, no, prego, dopo di lei!
Grazie.
Lo porta a fare la passeggiatina?
Eh, si.
Ma è buono! non lo sentiamo mai abbaiare.
Si. È’ buono.
E lui si diverte!
Eh, si.
Che bello che è, come si chiama?
Spino.
Spillo!
No, Spino.
Ah! Spino!
Si.
Ciao Spino!
Arrivederci!
Arrivederci.

... nell'anno 2010