Natale in corso (e in corsa) |
dialogo immaginario con una statuina di carta made in Mexico
Un
pentagramma vuoto in fronte
e
due virgole bianche, poco lontane
a
proteggere le tue pupille nere
pupille
ferme
occhi
severi
che
lasciano esplodere rughe a raggiera
simmetriche
al volto puntuto
di
maschera egizia senza colore
non
oro, niente splendore
solo
mento aguzzo
Da
dove vieni?
non
rispondi
per
questo sembri sapere
Mi
piaci
Le
due anfore che porti
penso
siano vuote
ma
non mi fido
così
guardo dentro e scopro che si,
sono
vuote
meno
male, penso,
solo
il peso dell’argilla
come
il tuo respiro,
d’argilla,
e
la tua veste fragile e bianca
per
poco
strappata
e logora sopra un drappo lungo fino ai piedi
di
un rosso verde bosco
che
torna a coprirti il capo
e
il collo
Mi
piaci
Ti
ho vista uscire una sera d’agosto
lasciavi
il tuo posto
mentre
nulla di te si muoveva.
Annunciata
da un fruscìo
hai
atteso sull’uscio
e
hai scritto parole
su
un pezzo di carta ripiegato.
Un
amore rubato?
Raccontami
allora che cosa hai sognato
nello
spazio bianco di un momento
chi
ti ha insegnato, e cosa?
Dici
che non hai mai saputo cos’era
quel
nobile suono
da
dove veniva non sai raccontare
eppure
viveva nelle sue parole
e
lo sentivi già noto
da
uno spazio remoto.
Forse
dirai che eri tu quella
che
un mondo non finisce con le sue creature
e
tu ritorni
senza
sapere
chi
ti ha preceduta
e
chi ti succederà.
Dove
vai?
non
rispondi
per
questo sembri sapere
Mi
piaci
So
di quell’onda bianca
e
di grandi domande
all’uno
e al tutto
con
poco riscontro
se
non qualche lutto.
Potresti
tentare la sorte
e
già ti vedo fuggire
con
niente se non te.
Sarebbe
un andare
o
un tornare?
Dove
sei, ora?
non
rispondi
per
questo sembri sapere
Mi
piaci
Stringi
forte al petto le tue due anfore vuote
nulla
di ciò che hai raccolto
le potrà riempire
ti
volti e guardi indietro
un
bosco di radici
sepolte,
non note
di
certo intrecciate a premere sulle tue fattezze brune
sulle
tue braccia ossute
sulla
tua fierezza contadina.
Devi
andare, ora
la
luce del giorno si avvicina
e
non è questo il tuo posto
torna
in fila
mettiti
in riga
così
che ancora ti possa trovare
e
come me ogni tuo signore
che
la vita è questa
il
giorno dopo il giorno
la
notte dopo la notte
e
nemmeno immagini quanto semini
di
bene
e
di male
attorno
e fuori
tra
i mille colori d’inverno.
Seducimi
ancora da lì
baratta
il tuo schermo con una lacrima
butta
la maschera di nobile fiera
e
tentami con il tuo pensiero forte
tu
che vivi di luce bianca
ascolta
il mio tormento
so
che mi vedi
attendo
un tuo cenno
voltati
ti
prego
non
lasciare che i giorni non abbiano un nome
portali
con te
per
ricominciare
a
dividere e ad unire
a
gioire e a soffrire
ad
odiare e ad amare.
Gioca
ancora con me
mi
piaci
sarai
il mio regalo di Natale
medusa |
... chiedendo come mai Medusa, sola tra le sorelle, portasse nella chioma serpenti frammisti ai capelli...Ella era stata bellissima, oggetto della speranza e della competizione di molti pretendenti, ma la sua più grande dote erano i magnifici capelli... Si dice che il re del mare violentò la giovane nel tempio di Minerva: allora la figlia di Giove si voltò indignata, coprendo i suoi casti occhi con lo scudo, e perchè il fatto non restasse impunito, trasformò i capelli della Gorgone in orribili serpenti. E anche ora la dea ostenta sul petto i serpenti che ha generato, per riempire i nemici di stupefazione e di terrore...
Ovidio, Le metamorfosi LIBRO IV
l'Invidia |
...Senza esitare si diresse allora alla casa dell'Invidia, nera di squallore e di marciume...la dea scorge l'Invidia intenta a mangiare carne di vipera...La magrezza le assedia le ossa, il suo sguardo è sempre bieco, i denti sono neri e corrosi, ha il petto pieno di livido fiele e la lingua cosparsa di veleno. Non sa cosa sia il riso, se non quello suscitato dalla vista dei dolori altrui...accompagna col suo sguardo obliquo la dea che si dilegua...poi afferra il bastone avvolto da una spirale di spine; è tutta coperta di nubi nere e dovunque arriva calpesta i fiori dei campi, dissecca le erbe, strappa le cime dei papaveri, inquina col suo alito l'aria che gli uomini respirano, le case, le città..
Ovidio, Le metamorfosi LIBRO II
ricevuto
poca luce ancora
sulle strade terrose
confini affollati di sabbia e sangue
di nuovo sirene
a separare il giorno dalla notte
la luce dalle tenebre
il cielo dalla terra
gli uomini dagli uomini
ti cerco con parole di speranza
mi rispondi, grazie a dio
con l'augurio di un buon giorno
sulle strade terrose
confini affollati di sabbia e sangue
di nuovo sirene
a separare il giorno dalla notte
la luce dalle tenebre
il cielo dalla terra
gli uomini dagli uomini
ti cerco con parole di speranza
mi rispondi, grazie a dio
con l'augurio di un buon giorno
mentre le voci cantano i numeri
sta per piovere
natura
in aumento
goccia lacrima
per
finire al mare
foglie
vermi
asfalto lucido
camini accesi
di poco
fuoco
cancello chiuso
serrande
abbassate
frigo vuoto
natura
in aumento
goccia lacrima
per
finire al mare
foglie
vermi
asfalto lucido
camini accesi
di poco
fuoco
cancello chiuso
serrande
abbassate
frigo vuoto
e vorrei
e vorrei portare
le mie parole sulle tue
vivere la trasformazione
del battito orientale
sorprenderti ancora
lasciarti immobile
e silente
a tentare di ripararti
dal riverbero di un suono mio
accadrà?
le mie parole sulle tue
vivere la trasformazione
del battito orientale
sorprenderti ancora
lasciarti immobile
e silente
a tentare di ripararti
dal riverbero di un suono mio
accadrà?
la fame |
La Fame scavata dal digiuno...
La trovò in un campo pieno di pietre, che cercava di strappare con le unghie e coi denti i rari fili d'erba. Aveva i capelli irti, gli occhi infossati, il viso pallidissimo, le labbra bianche che sembravano coperte di muffa, la fauci inaridite dal tartaro, la pelle dura e tesa attraverso la quale si potevano contare gli organi interni; le ossa spuntavano come nude sotto la curva delle anche; non aveva ventre e al suo posto c'era un vuoto; la cassa toracica sembrava in bilico, sorretta a stento dalla spina dorsale. La magrezza aveva fatto sì che sembrassero più grosse le giunture: gonfie erano le rotule dei ginocchi e protuberanti in modo esagerato i talloni...
Ovidio, Le metamorfosi LIBRO VIII
aracne |
Aracne sola non batte ciglio. Tuttavia arrossisce di un improvviso rossore che le colora il viso suo malgrado, per subito scomparire, come accade all'aria che si tinge di rosa al sorgere dell'aurora e poco dopo schiarisce col levarsi del sole...
Subito, al contatto col veleno, all'infelice cadono tutti i capelli e contemporaneamente le si rimpiccioliscono il naso, le orecchie e la testa: anche tutto il resto del corpo si riduce. Questo corpo reca attaccate ai lati dita sottilissime con funzione di gambe e tutto il resto è ventre, da cui ella emette un filo: così continua come ragno a tessere tele come prima...
Ovidio, Le metamorfosi LIBRO VI
interrogazione
è lo spazio bianco
che ogni volta mi fa sussultare
come ora
di paura
e prego un dio
che non ho mai incontrato
di rimanere viva
fino all'ultima ora
hai saputo dirmi che è tutto
quello che non sai
è che lì ancora, io mi perdo
e perdo
che ogni volta mi fa sussultare
come ora
di paura
e prego un dio
che non ho mai incontrato
di rimanere viva
fino all'ultima ora
hai saputo dirmi che è tutto
quello che non sai
è che lì ancora, io mi perdo
e perdo
in treno
Lui voleva guardarla da dietro.
L’aveva vista arrivare da in fondo, gonnellina corta in
chiffon nero e calze velatissime nere.
Stuzzicadente in bocca, si trovava tra la gente in attesa
tra le due porte, e si era spostato lentamente in modo da arrivarle alle
spalle. Lei di fronte ad una delle due uscite, guardava fuori, lui dietro,
guardava indisturbato il suo fondo schiena e quel paio di gambe sinuose fuoriuscire
da una minigonna troppo corta e troppo leggera, ammiccando ai compagni di
viaggio che gli sorridevano intuendone i pensieri. Lei, di almeno vent’anni più
giovane, si era accorta subito di quegli sguardi insolenti, e tradiva un
leggero imbarazzo. Il treno continuava a rallentare e le persone in attesa
iniziavano a fare pronostici sul lato da cui sarebbero scesi. Nessuno poteva
muoversi più, lo spazio era stato occupato del tutto, altre persone rimanevano
in coda nei corridoi e tra i passaggi dei vagoni che confluivano verso le
uscite. Finalmente il treno si fermò. La ragazza abbozzò un sorriso soddisfatto
nel capire qualche secondo prima che lei sarebbe stata l’ultima a scendere,
perché le porte si sarebbero aperte dalla parte opposta alla sua, e si voltò.
Lui si tolse lo stuzzicadenti dalla bocca, girò sui tacchi e
scese prima di lei, sconfitto.
il creativo
"Saprai giocare con me ai pigmei del Burundi
al salto del rosso, al giro del viola
questa giostra di carta sarà tua
e potrai volare sull'ottagono di vetro
perchè tu sai che da qui
è splendida la vista sulla città!".
Guardo lei, gentile e profumata
"il genio del rifiuto!"
dirò così,
e sarà pasta al pomodoro.
carlo e ada
carlo e giorni violenti
sulla strada di casa
la pioggia non smette
e picchia il portone
strada bagnata
cartoni inzuppati
corde ormai mute
tra lamiere insanguinate
ada si stringe e ascolta le storie
mostra i capelli di tetra figura
spaccio di note
piccoli furti
seduti per ore sul muro di cinta
sono i violini
i padroni del cielo
qui a milano
alle 5 e trenta del mattino
di carlo e del suo violino
Milano. Cinque e trenta del
mattino. All’angolo di via Bramante, in direzione della fermata del tram per il
cimitero monumentale, viene rinvenuto il cadavere di un giovane di età apparente
tra i 25 e i 30 anni. La strada è bagnata, ha piovuto tutta la notte, e il
corpo appare riverso sul marciapiede disteso sul fianco destro, quasi
completamente coperto da pezzi di cartone inzuppati e sporchi e con il volto
rivolto verso il muro.
Mi reco sul posto per i rilievi
del caso e a stento trattengo la mia rabbia nel procedere all’identificazione.
Si tratta di Carlo, il fratello minore di Ada, mia compagna di studi all’ultimo
anno di liceo. Overdose da eroina. Alzo la testa, e il mio sguardo corre lungo
il muro di cinta del centro sociale che si trova nelle immediate vicinanze.
Provo ad immaginare dove può aver trascorso le sue ultime ore, in compagnia di
chi, ma alla necessità di indagare sui fatti si sovrappongono immagini di lui
ragazzino, ed è un mesto ripensare al suo bellissimo viso, e alle sue mani
bianche e affusolate.
Lo incontravo sempre alla fermata
del tram. Io passavo in bicicletta poco prima delle otto, e lui salutava beffardo
in compagnia di altri ragazzi con il suo violino sotto il braccio, il sorriso
sornione e l’aria di chi sa di valere molto più degli altri come musicista. Era tenace nello studio, appassionato e fiero, ed erano in
molti a riconoscere il suo precoce talento. Aveva un rito tutto suo prima di
iniziare un concerto, raccontava storie di violini che
prendevano vita in un mondo surreale, e lui gli attribuiva un cuore, ma
soprattutto un’anima. Era un artista. A
raccontarmi di lui Ada si stringeva sulle spalle con il pudore di chi sa
distinguere la verità da un elogio.
Fu durante una lezione appena
iniziata nell’aula di latino che arrivò la notizia del tragico incidente. Ada
si precipitò all’ospedale, e da quel giorno la sorte cominciò a mostrare
l’altra faccia. Carlo era finito tra le lamiere del tram scontratosi in città
con un autobus, e l’uso del suo braccio destro fu irrimediabilmente
compromesso, così come la sua carriera di musicista.
Finito il liceo persi di vista tutti e due, ma ritrovai
Ada a distanza di anni una sera in pizzeria, visibilmente cambiata nell’aspetto
e nei modi. Si tolse il berretto di lana mostrandomi le poche ciocche di
capelli che ancora le erano rimaste, vergognandosi con me per il suo aspetto così
malato e tetro. Iniziammo a parlare, e mi raccontò della sua disperazione per
quel fratello che non conosceva più.
Dopo l’incidente Carlo aveva dovuto passare molto tempo
tra riabilitazioni e cure mediche per il parziale recupero dell’arto, e ad ogni
intervento perdeva sempre più fiducia nelle proprie possibilità, dovendo
accettare ben presto di non poter mai più suonare il suo violino.
Lasciò gli studi e si cercò un lavoro come barista in
periferia, ma durò poco, e cominciò a girovagare vivendo alla giornata,
incurante di costruirsi un futuro che oramai non lo interessava più. Vendette
tutto quello che poteva fruttargli un po’ di denaro, compresa l’intera collezione
di dischi, e si allontanò da casa, senza dare troppe spiegazioni.
Dopo qualche anno di silenzio si presentò in famiglia
dicendo che era appena uscito dal carcere, e che non aveva un posto dove
andare. Non era la prima volta che vi finiva dentro, sempre per piccoli furti e
spaccio di droga. Da quel giorno tornò a vivere a casa, ma non faceva che
ostentare atteggiamenti intimidatori e violenti.
Guardavo Ada e pensavo che il suo era un racconto che
avevo sentito troppe volte, ma non riuscivo ad accettare il fatto che si
trattasse di Carlo, di quel ragazzetto che viveva in simbiosi con il suo
violino, a cui di colpo era stato impedito di sognare.
Quella sera Ada mi confessò di desiderare che Carlo fosse
affidato ad una struttura in grado di seguirlo, poiché la sua famiglia non ne
aveva più i mezzi. Le diedi il nominativo di un responsabile di mia conoscenza
in una comunità per tossicodipendenti promettendole che l’avrei aiutata se
avesse deciso di provare. Poi non ne avevo saputo più nulla.
Fino a questa mattina.
armadio lucido
hanno trovato il loro rifugio
canne pesanti e buchi neri odorosi
la domenica li pulivi
ed io non capivo perchè li tenevi.
appendice di forza
muscolo ferroso
metro quadro difeso
dagli attacchi del sentimento.
canne pesanti e buchi neri odorosi
la domenica li pulivi
ed io non capivo perchè li tenevi.
appendice di forza
muscolo ferroso
metro quadro difeso
dagli attacchi del sentimento.
cercasi creativo
Un palazzo antico in centro città
ospitava al terzo piano l’ufficio del Sig. Mitis. Cercai il nome della sua
agenzia di marketing fra le targhe incise sulla colonna in marmo a fianco
del portone d’ingresso, e premetti il
pulsante in ottone. Rispose una voce femminile molto delicata, che mi pregava
di salire le scale poiché l’ascensore era momentaneamente fuori servizio. Il
segnale dell’apertura elettrica del portone si udì appena, confuso nel
frastuono del traffico. Mi asciugai un po’ la fronte ed entrai. L’ingresso del
palazzo era semibuio, ma offriva subito una piacevole frescura che si propagava
dai marmi del pavimento, dai muri spessi finemente intonacati e dalla ringhiera
in ferro battuto che si snodava sinuosa, accompagnando i gradini dello scalone.
Non avevo niente con me che potesse suggerire una qualche idea di operosità,
come una cartellina, un’agenda in pelle, una borsa business, o un auricolare
avvinghiato all’orecchio. Niente. Tuttavia il vestito era perfetto, e il
colletto della camicia che fuoriusciva
dalla giacca si mostrava candido e inamidato.
Salutai la segretaria
presentandomi a lei e chiedendo del Sig. Mitis. Con la stessa cortesia con cui
mi aveva invitato a salire mi pregò di attendere qualche minuto indicandomi la poltrona
in pelle nera che potevo occupare.
Non riuscivo a concentrarmi sul colloquio che stavo per
avere, mi limitavo a guardare la mia scarpa lucida che appariva e scompariva
dal mio campo visivo per il movimento intermittente della gamba destra accavallata
sulla sinistra, e sbirciavo soddisfatto il calzino perfettamente coordinato. In
realtà era una situazione che negli ultimi mesi si era ripetuta sino alla
nausea, e oramai nutrivo poche speranze di trovare un lavoro che potesse
somigliarmi anche solo lontanamente. A quell’appuntamento ci ero arrivato per
caso, leggendo un annuncio che mi aveva incuriosito per il testo che diceva
così: agenzia di marketing leader nel settore valuta curricula per assunzione
collaboratore in ruolo di responsabilità. Retribuzione adeguata al ruolo.
Requisiti necessari: forte motivazione e creatività.
“Signor Terisi?”.
“Si…”.
“Angelo Mitis, piacere. Prego mi
segua, accomodiamoci nel mio ufficio”.
Mi precedette con passo lento ed
elegante, ed entrammo in una stanza poligonale, con cinque pareti, di cui tre
erano finestrate da pavimento a soffitto e offrivano una splendida vista sulla
città, seminascosta dalla regolarità delle sottili lamelle di tende veneziane
che lasciavano penetrare una quantità di luce appena sufficiente a guardarci
negli occhi. Non si udivano rumori in quella stanza, solo qualche fruscio delle
sedie sulla moquette grigia, ed un leggero ronzio della pala che muoveva l’aria
ruotando al centro del soffitto. Una volta seduti uno di fronte all’altro
rimanemmo in silenzio per il tempo che il Sig. Mitis impiegò a dare ancora
un’occhiata al curriculum che gli avevo spedito. Si tolse gli occhiali e li
posò sulla scrivania, mi guardò di sotto in su e disse:
“Io adoro i copricapo di ogni
genere. Quello che indosso oggi l’ho acquistato in Africa dieci anni fa, da una
tribù di pigmei del Burundi. Loro se ne servono per riti propiziatori, e i
colori variano a seconda di chi li indossa. Questo era di un capo tribù. Ho barattato di tutto, ma si tratta di un pezzo fantastico. Non mi piace fare
abbinamenti con il vestito. Preferisco i contrasti di colore e di stile, ben
visibili, al limite dell’eccesso. Le va di bere qualcosa Signor Terisi?”.
“ Quello che prende lei va bene.
Con ghiaccio. Grazie. Posso farle una domanda?”
“Prego”.
“L’ufficio è tutto qui? Voglio
dire, l’agenzia di marketing è questa?”.
“L’ufficio uno se lo fa dove
vuole Signor Terisi, non è necessario un luogo fisico, può bastare la propria
mente…e comunque, visto che la sua curiosità mi spinge ad entrare nel vivo del
nostro incontro, le dirò il motivo per cui il suo curriculum mi ha colpito. Lei
ha una serie di titoli di studio e di attestati di frequenza a corsi di varo
genere che uniti ad un’esperienza lavorativa nei luoghi di lavoro più disparati
fa pensare ad una persona che non sa come mettere a frutto le proprie energie e
conoscenze, proprio come me.”
“Mi deve scusare Signor Mitis, ma
non capisco”.
“Si, io in questo momento della
mia carriera ho questo problema. Ho le idee ma non so come metterle a segno. E
credo che lei possa aiutarmi”.
“Ma non mi sono ancora
presentato, in realtà lei non sa nulla di me”.
“Avrà notato che qui ci sono
telecamere un po’ dappertutto. Mentre suonava il campanello, mentre saliva le
scale, mentre sedeva in attesa che io uscissi, lei non pensava al motivo per
cui era qui. Ha osservato l’androne del palazzo, ha sfiorato con il palmo della
mano i muri mentre saliva le scale e guardava il marmo dei gradini, giocava con
il movimento della propria gamba, si guardava attorno ed era tutt’uno con gli
abiti che indossava e con gli oggetti che guardava … ho una particolare
predilezione per le persone che non si consegnano mai completamente, che danno
l’impressione di essere sempre con la mente altrove. Di queste solo alcune sono
autentici artisti. Sono quelli che alloggiano una sensibilità superiore, fatta
di intuizioni che non obbediscono ad alcuna legge, animi capaci di percepire la
bellezza, la poesia, la luce … mi aiuterebbe a scrivere un romanzo, Signor
Terisi?”.
“Posso chiederle cosa ha a che
fare tutto questo con l’agenzia di marketing?”
“Fa parte di una strategia di
promozione del marchio. Creare un personaggio che fuoriesca dagli schemi del
solito titolare d’azienda oberato dal lavoro, iperattivo, calcolatore,
flessibile e sempre presente. Il mio nome è la mia azienda, ed io voglio
un’immagine nuova, maggiormente legata all’idea di uno spirito libero. Voglio
scrivere un romanzo che possa appassionare, commuovere, indignare, un romanzo
che scuota gli animi e che sia stato scritto da Mitis in persona. Voglio
spiazzare la concorrenza in fatto di immagine, indicare una via nuova nel
panorama della comunicazione. Sono un titolare d’azienda che ha anche un’anima.
Voglio presentarmi in fiera con il mio libro oltre che con i miei prodotti, voglio
che nascano dei circoli culturali all’interno delle aziende dove si discuta, si
legga, ci si confronti sull’arte, sulla letteratura, sul cinema, sul teatro. I
manager devono amare la bellezza. Non ci si può arenare ai costi di gestione.
Sono stanco dell’immagine rassicurante, prevedibile e omologata che mi sono
costruito negli anni…”.
“Signor Terisi?”
“Si …”.
“Sono Massimo Corsi,
collaboratore del Signor Mitis … ci scusiamo per averla fatta aspettare così a
lungo ma i colloqui si sono protratti oltre l’orario previsto e abbiamo
ritardato con il suo appuntamento. Può accomodarsi da questa parte, la seguo io
perché il Signor Mitis è dovuto scappare o perdeva l’aereo”.
Mi resi conto di essermi
completamente estraniato dalla situazione. Avevo azionato un film nella mia
testa di come avrei voluto fosse il colloquio ed ora mi ritrovavo a presentare
il mio curriculum ad un brillante ed energico giovane che probabilmente mi
aveva già inquadrato trovandomi quasi assopito in poltrona nella sala d’attesa.
Mi strinse la mano in modo standard, con un sorriso standard, vestiva come le
altre dieci o quindici persone che avevo visto passare in quell’ora di attesa,
teneva dei fogli nella mano sinistra e si muoveva velocemente per trasmettere
la sua energia lavorativa. Si sedette alla scrivania agitando il mio curriculum
in maniera entusiasta, sfoderando un sorriso ora sguainato come fossimo vecchi
amici. Alle pareti del suo ufficio c’erano dei manifesti di quadri
impressionisti incorniciati con poche lire, e nemmeno la scelta dei colori per
le cornici era stata felice. La poltrona su cui sedeva era di tipo
presidenziale, e il piano della scrivania era in vetro bordato di pelle scura.
C’era infine un’unica libreria lucida e nera
che ospitava alcuni grossi registri e fascicoli. Sull’unico spazio
libero una foto dei figli su cornice d’argento.
“Dunque Signor Terisi, mi
racconti qualcosa di lei”.
“Mah, quello che volevo dire l’ho
scritto sul curriculum … è tutto lì”.
“Non ha niente da dire?
Ambizioni, progetti, obiettivi, mi faccia capire perché è qui oggi! Abbiamo
fatto altri colloqui con altri aspiranti collaboratori e questo è un posto che
fa gola a molti, lo sa? Quando sono stato assunto io il Signor Mitis mi fece
un’unica domanda, la stessa che le ho appena fatto, ed io parlai per mezz’ora.
Se si vuole qualcosa dalla vita bisogna lottare per prendersela, non crede?
Perché dovrei scegliere lei per questo lavoro? Conosce la nostra azienda?”.
“Mah, ho letto che vi occupate di
marketing, e sono qui anche per saperne di più
…”.
Attese perplesso qualche secondo
con lo sguardo ancora sui fogli che aveva in mano, sospirò e disse:
“Signor Terisi, io credo che lei
abbia bisogno di capire meglio cosa vuole fare. Non si può cercar lavoro
sparando nel mucchio. Non me la sento di proporle questo posto. Provi a
rifletterci un po’ su, d’accordo?”.
Uscendo dall’ufficio salutai la
segretaria che un’ora prima mi aveva fatto accomodare in attesa. Salendo in
macchina mi dissi che avevo fatto bene a rifiutare l’offerta. Ero andato a quel
colloquio perché volevo un ruolo da creativo, non mi interessava un posto da
ragioniere della comunicazione. L’avevo fatto per troppo tempo il ragioniere ed
era un lavoro che odiavo. Certo, il modo con cui avevo rifiutato era stato
geniale, mettere l’interlocutore in condizione di cacciarti per
disperazione.
Procedevo nel traffico delle
cinque del pomeriggio con addosso un leggero nervosismo mentre ripensavo al
contenuto del colloquio che avevo avuto con il Signor Corsi. Alla terza
sigaretta, nel tratto di strada che preludeva alla piazza del mio paese, avevo
chiara in mente l’espressione che avrebbe fatto quella sera mia moglie. Vedevo
due occhi increduli che mi avrebbero fissato per qualche secondo, per poi
deviare sul piatto di pasta al pomodoro. Ed io avrei dovuto spiegarle che per
un posto come quello non serviva fare tanti chilometri ogni giorno. Ne sarebbe
valsa la pena solo nel caso in cui mi fosse stato proposto il lavoro per cui
avevo risposto all’annuncio. Ma non era andata così. Era stata solo l’ennesima
perdita di tempo. Un’altra delusione. L’avrei informata del fatto che la mia
vita doveva iniziare a prendere la direzione che volevo io, e che quindi dovevo
smettere di accettare qualsiasi tipo di impiego.
Ma le ultime parole furono le
sue:
“Anche la mia vita
deve iniziare a prendere la direzione che voglio io. Domani mi trasferisco da
mia madre”.
io aspetto
io aspetto
(dicono che si può)
quella fonte energetica
di fantastiche proporzioni
che spinga il mio razzo
lontano dalla gravità terrestre
tuttavia
non possiedo la mappa
per navigare negli spazi celesti.
galeotto fu
quel timido assaggio
(dicono che si può)
quella fonte energetica
di fantastiche proporzioni
che spinga il mio razzo
lontano dalla gravità terrestre
tuttavia
non possiedo la mappa
per navigare negli spazi celesti.
galeotto fu
quel timido assaggio
GIOVANNI TESTORI
RESTA IN DISPARTE
Resta in disparteè giusto
La tua voce non ha qui senso
e peso.
Giochi una carta
che non sarà riconosciuta,
chiami un libro l’amore
l’altro l’intitoli
per sempre.
Non salvato da alcuno
finirai solo
a credere che la parola
non sia un gioco
ma un’ombra atroce
dell’incarnazione
un povero resto
(da Per sempre, Feltrinelli, 1970)
piazza pulita
il vuoto non è mai vuoto abbastanza
ci deve sempre essere qualcuno o qualcosa che si infila
oggi farei piazza pulita
alzi la mano chi non ha mai fatto pensieri di distruzione
che me ne faccio dei tuoi discorsi sulla morte
che me ne faccio di un tubo rotto
che me ne faccio di pollo arrosto e patate fritte
che me ne faccio del fiore più bello
è tutto così provvisorio
che vorrei renderlo definitivo
ci deve sempre essere qualcuno o qualcosa che si infila
oggi farei piazza pulita
alzi la mano chi non ha mai fatto pensieri di distruzione
che me ne faccio dei tuoi discorsi sulla morte
che me ne faccio di un tubo rotto
che me ne faccio di pollo arrosto e patate fritte
che me ne faccio del fiore più bello
è tutto così provvisorio
che vorrei renderlo definitivo
dalla tua parte
lacrime migranti
mimano silenziose
mutamenti minimi.
riparo scolpito nel buio della carne
che avvolge e preme.
gioco di scacchi con altro di me
pazzo
cancella ogni cosa
fatti generare dalla terra nera
dal sasso bruciato
dalla polvere e dal petrolio
dalle mani incavate
dalla fame e dal sangue
dal sangue bevuto
dal sangue
dal sangue
dall’anima esangue
scava al centro
non di lato
la tua tregua è finita nel vuoto di memoria
ti spingeranno se avrai fortuna
loro a piedi e tu seduto
e non potrai riprendere fiato
né ricucire quell’orlo strappato
vuoto di memoria
pausa
vuoto di memoria
non puoi riprendere da dove hai lasciato
pazzo
sei pazzo
e nessuno ti vuole
vuoto di memoria
pausa
vuoto di memoria
non puoi riprendere da dove hai lasciato
pazzo
sei pazzo
e nessuno ti vuole
(dedicato al dolore indicibile di Francesco Mastrogiovanni e a chi come lui ha subìto)
vota antonio
Ho visto il rosso, l'azzurro, il giallo, il blu, molto blu, tanto blu.
Di tutti i colori.
Il colore buono è bianco. Ho scoperto che il colore buono è il bianco, perché rimane fedele, il resto si ribella.
E' vero, è vero.
Il grigio si intristisce e butta acqua.
Il viola scappa al tramonto.
Il nero si fa nero.
Il rosso dura poco.
Il giallo brucia tutto.
E l'azzurro costa caro.
E a fare il cielo ce ne vuole; mica solo un tubetto. Ce ne vogliono 100, 200, 300 anche 400 tubetti per fare il cielo.
E quando sono insieme i colori,
cospirano.
Si buttano giù storti, a pataccone.
Però i colori sono belli visti da dietro.
Davvero.
I colori sono belli visti da dietro.
Te l'hai mai visto un rosso da dietro?
Non sta fermo. Cambia. Se gli vai addosso schizza via come un gatto.
Però... se c'hai la chiave... vedi i colori più belli...
(uomo d'acqua dolce - antonio albanese. oggi ho bisogno di questo per partire)
Di tutti i colori.
Il colore buono è bianco. Ho scoperto che il colore buono è il bianco, perché rimane fedele, il resto si ribella.
E' vero, è vero.
Il grigio si intristisce e butta acqua.
Il viola scappa al tramonto.
Il nero si fa nero.
Il rosso dura poco.
Il giallo brucia tutto.
E l'azzurro costa caro.
E a fare il cielo ce ne vuole; mica solo un tubetto. Ce ne vogliono 100, 200, 300 anche 400 tubetti per fare il cielo.
E quando sono insieme i colori,
cospirano.
Si buttano giù storti, a pataccone.
Però i colori sono belli visti da dietro.
Davvero.
I colori sono belli visti da dietro.
Te l'hai mai visto un rosso da dietro?
Non sta fermo. Cambia. Se gli vai addosso schizza via come un gatto.
Però... se c'hai la chiave... vedi i colori più belli...
(uomo d'acqua dolce - antonio albanese. oggi ho bisogno di questo per partire)
tutto da rifare
arrivo al bar e parcheggio
la mia macchina frigge e fuma
temo un’esplosione
la guardo mi interrogo e me ne vado
due tramezzini e una coca
mi siedo fuori e la guardo
fuma ancora, ma solo un po’
pago, perché lì mi conoscono, e torno da lei
apro il cofano, scotta tutto, non so cosa fare
richiudo salgo accendo tappandomi le orecchie e riparto
verso casa
arrivo e parcheggio
riapro il cofano
il solito vicino di casa si avvicina e si informa
fingo che sia una cosa da poco
quando capisce che manca acqua nel radiatore mi dice di
aggiungerne
dico che non ho neanche una bottiglia in garage
lui mi guarda allibito e dice che l’acqua per il radiatore
non è l’acqua che beviamo
faccio per salire ma mi stoppa ancora dicendomi che al
distributore ci devo andare in bici, non in macchina, lui non farebbe nemmeno
un metro, si brucia tutto
ringrazio a denti stretti, chiudo il cofano e salgo in casa,
devo pensare
l’unica cosa da fare è sedersi e fumare, per simpatia
la banca mi aspetta
devo andare a piangere un po’
sono in ritardo
carico una lavatrice e il detersivo finisce
la accendo ugualmente, andrà con l’ammorbidente
infilo gli occhiali scuri
uscendo potrei incontrare ancora il mio vicino
aumento la velocità dei passi verso di lei
non c’è nessuno
salgo e scappo
tanto il distributore è vicino
arrivo ed è aperto, ma self service
ne tiro una, piano
mi dirigo verso il borgo treviso
ma devo attraversare la piazza, fa un caldo boia c’è
traffico e tutti i semafori sono rossi
non so se correre forte o piano
non so più niente
freccia a destra
chiuso anche questo
freccia a destra
c’è un omino che lavora
gli spiego che la mia macchina fuma e credo manchi l’acqua
nel radiatore
mi dice di aprire il cofano
salgo al posto di guida, tiro la leva e mi scende il volante
sulle ginocchia
comincio a sudare
tiro l’altra leva e si apre il cofano
guarda e mi dice che è completamente vuoto, che deve esserci
un motivo
mi piace quest’uomo, mi fa ragionare
ipotizzo che ci sia una perdita
lui annuisce
inizia a fare il suo lavoro
gli sto vicino per imparare
ruota la testa verso di me e mi dice che sicuramente la
temperatura era salita
gli chiedo come si fa a capire
ride
rido anch’io finalmente, ma non per la mia macchina
è che mi sembra un ventriloquo
muove le labbra ma la voce non viene da lui
faccio la signora e chiedo che mi venga aggiunto anche il
liquido per i vetri
crea la sua pozione in un innaffiatoio ed inizia a svuotare
ride ancora
mi dice che era completamente vuoto
alza la testa e guarda il vetro
mi chiede come faccio a vedere fuori
rido
ride
decide di lavarmelo
gli chiedo di controllare anche l’olio
guarda
ne manca un chilo
vado a pagare
mi sposto al bar e ordino un caffè
ormai sono salva
mi siedo e ne fumo una, lì, al distributore
passa un camion brutto, bellissimo
madre teresa dipinta a mani giunte
che meraviglia
un camionista e madre teresa
dall’altra parte della strada la gru gialla si muove sopra i
tetti
cosa cazzo costruiscono ancora che la gente non ha soldi
mi muovo
arrivo in banca, mi inginocchio e prego
me ne vado
arrivo al lavoro e parcheggio
due neri seduti sulla panchina mi guardano e guardano la mia
macchina
guardo sotto
piscia acqua
tutto da rifare
molte cose sono cambiate da allora...una di queste è che ho smesso di fumare
prove tecniche per un discorso su arcangela
STRETTO E - O
Smetto
Gretto
Spreco
Dolore
Onere
Onore
Sospetto
Momento
Letto
Morte
Come
Persone
Nero
Debole
Confessore
Nome
Demone
Convento
Estremo
Opere
Tempo
Freddo
Dottore
Dovere
Potere
Oppresso
Elenco
Errore
Spento
Mezzo
LARGO
A – O
Parto
Porta
Sano
Rosa
Grato
Caldo
Rapporto
Sposata
Sopra
Sosta
Corsa
Carro
Raso
Montagna
Lavoro
vince stretto 30 a 15
ne avevo il sospetto
ne avevo il sospetto
abbinamento
camicia
a fiorellini nei colori
rosa
carne, verde salvia e nero.
giacca
color verde salvia e jeans neri
lei
era rosa carne
inizio di giornata
esco dall’ufficio per prendere un caffè al solito bar. prima
di entrare esito un attimo, perché noto appesa al muro l’epigrafe di una donna
che conosco di vista. è la figlia di maria, una pittrice ora molto anziana che
vive in paese e che ho conosciuto a Venezia molti anni fa. è morta sua figlia.
che destino ingrato, penso, sopravvivere ai propri figli. entro al bar e trovo
una situazione che sembrava essere presagita da quella mia esitazione
nell’entrare. trovo tutti in lacrime. il gestore più anziano del bar, nonché
nonno del bimbo di due anni, è stato investito mentre andava in bicicletta con
il nipotino da un’auto alla cui guida c’era una donna, che continua a girare per
il bar scusandosi per l’accaduto. il bimbo è urlante in braccio allo zio e ha
il viso sporco di sangue, la sua giovane mamma urla in lacrime al telefono alla
nonna di scendere al bar perché è successo un incidente. lo zio tenta di
calmare il piccolo e la sorella. qualche secondo e arriva la nonna, che si
porta le mani sulla bocca, inizia a tremare e piange, e urla, e va da una parte
all’altra. mi sento di prenderla e di tentare di calmarla. le dico che il
bambino piange e si muove, significa che reagisce. nel frattempo il nonno va
dietro al banco e sembra diventato muto, con il broncio. la signora che era al
volante dell’auto trema tutta e tenta di chiamare la figlia al cellulare, ma la
figlia non risponde. le dico di sedersi e le chiedo se desidera un bicchiere
d’acqua. mi ringrazia e lo accetta, dicendomi che questa mattina non se la
sentiva di andare in macchina, che aveva una giornata nera, e ora non ha più
coraggio di guidare. vado al banco, ma la nonna è sempre più disperata e non
riesce a muoversi. Entrano due impiegate dell’ufficio vicino al mio. Notano la
situazione di disperazione dei gestori del bar, ma chiedono lo stesso se
possono avere un caffè. alla fine riesco ad avere un bicchiere d’acqua per
l’altra donna che nel frattempo è riuscita a comunicare con la figlia e ora la
aspetta seduta in lacrime. il bimbo è stato portato al pronto soccorso dallo
zio con la mamma, che era visibilmente sotto shock. la nonna da dietro al banco
insiste nel chiedermi se ero entrata per un caffè, a quel punto dico si per
darle modo di fare qualcosa, e mi fa un caffè, senza smettere di piangere. si
rivolge al marito e gli dice di andare anche lui al pronto soccorso, per farsi
controllare dopo la caduta. lui risponde con un gesto di stizza e una
bestemmia, dice che non si è fatto nulla e torna nel suo mutismo.
bevo il
caffè, è cattivo, lo pago ed esco.
appuntamento con il poeta
Entro in Chiesa per vedere com’è.
Adocchio subito una cappella con la pala della Misericordia
che è un soggetto sempre molto strano,
per quelle figurine dipinte sotto al manto, ai piedi della Madonna
che sembrano mostriciattoli,
sproporzionati.
Mi fermo a leggere la targa affissa ad un pilastro
e leggo la didascalia.
Un prete molto giovane di spalle
sta aprendo una scatola di cartone
con i lumini di cera.
Non mi ha sentita dietro di lui
si volta e fa un salto con un mezzo urletto
si mette la mano sul petto
e mi guarda dicendo ‘è la seconda volta, oggi che
prendo paura!
Prima con una signora con i suoi due bambini…’
Lo guardo e dico
‘mi sembra abbastanza prevedibile
in un luogo come questo
immaginare di avere qualcuno alle spalle’.
Il prete giovane si adombra, improvvisamente,
china la testa
e continua il suo lavoro sulla scatola di cartone
che conteneva i lumini di cera.
Non mi guarda più
non mi rivolge più la parola.
Esco per ascoltare il poeta
che dice ‘perché non provare a scrivere di una
forchetta?’.
Poi lo fece con un cucchiaio
poi con un coltello.
22 settembre 2012
pranzo domenicale
il sorriso dimezzato di un parente
si accompagna al gracchiare di altalena
mosche assatanate precipitano e ripartono
fuoco e fumo di carne e sangue
mi riportano a tutto quello che ho dimenticato
incontro con estranei
riunione di famiglia
tutti sempre più vicini alla terra
ognuno schiacciato dal proprio peso
vergato da rigagnoli di appiccicosa angostura
e non c’è nulla che ecceda il significato
solo una danza sotterranea
regolata da lingue biforcute che si dipanano lente
invisibili
governate dall’oscillazione del tempo
e tutto si esaurisce
nell’essere compreso
un giorno dell'anno 2009
rientro
Nello scompartimento affollato
le voci fuori campo si accordano al suono
di una parlata russa dallo sguardo obliquo
La giocatrice di hockey mi dorme accanto
rifugiata e lasciva
respiro alcolico
labbra di fragola
ingaggiata soltanto dal fiacco torpore estivo
Io sembro un giocattolo in discarica
testa cariata
sguardo di plastica
indecisa
se amare o no
Whitman.
19/05/09
autoritratto
Non ho mai calpestato i vermi sull’asfalto lucido dopo il
temporale
solo perché mi fa schifo il rumore che fanno sotto la
scarpa.
Sono scappata dalle api attorno a mio figlio quand’era
piccolo
perché avevo paura che pungessero me (lui lo sa).
Non ho mai preso a bastonate le signore che mi passano
avanti al supermercato
solo perché sono una persona educata (e un po’ cogliona).
Ho sottratto un pacchetto di chewingum in un tabacchino a
Venezia solo per timidezza: io volevo pagare ma nessuno mi dava retta.
Sono andata a Padova con un’amica, ci siamo sedute in un bar
e abbiamo bevuto dalla bottiglia che ci siamo portate da casa (avevamo solo i
soldi per il biglietto del treno, faceva freddo e volevamo stare al coperto).
Riesco a dire solo cattiverie con uno sguardo di plastica.
Sto lavorando sullo sguardo.
Non ho mai sopportato le pene d’amore, di qualunque natura e
provenienza.
Spesso non so cosa dire.
Raramente dico quello che so.
Vorrei essere un uomo, ma se fossi un uomo vorrei essere una
donna.
Adoro le fragole (anche con la panna, ma non sempre).
Ho un grande rammarico: non sono mai stata ad un concerto di
De Andrè.
un giorno dell'anno 2009
un giorno dell'anno 2009
cane
anche oggi so
di quell'urlo vigoroso che precede la caduta
di muscoli tesi
e di poca carne.
vattene via cane
e piantala di guardarmi!
di quell'urlo vigoroso che precede la caduta
di muscoli tesi
e di poca carne.
vattene via cane
e piantala di guardarmi!
erano pensieri sulla soglia
erano pensieri sulla soglia
davano peso al controcanto
simil gioia, simil pianto
e trattieni rivoli lievi di
lacrime ematiche
davano peso al controcanto
simil gioia, simil pianto
e trattieni rivoli lievi di
lacrime ematiche
Divagazioni
Ascensore 1
non ci sono più le mezze stagioni
Buonasera, tutto bene?
Buonasera. Si grazie
Prego! Dopo di lei!
Grazie.
Anche per oggi abbiamo lavorato! E tanto!
Già.
A casa tutti bene?
Bene, bene, e voi?
Si bene, però sono stanco, pensi che sono uscito di casa questa mattina alle sette e rientro
ora, per cena! Sarà vita questa? Si lllavora ebbasta!
Eh, lo so, però
No, no, non si può. Ma tra poco me ne vado in pensione he
he, e allora mi riposo, ah si, RI-PO-SO! Oggi faceva pure un caldo fastidioso,
ho lasciato l’auto nel parcheggio sotto il sole e quando sono risalito era
bollente, come fosse estate! Una sofferenza! Non si può! Non si può!
Eh, però, quando fa freddo ci lamentiamo,
e quando fa caldo
No, il problema è che non si sa come vestirsi, non ci sono
più le mezze stagioni! Bene, siamo arrivati, dopo di lei!
Grazie.
Buona serata!
... nell'anno 2010
... nell'anno 2010
Divagazioni
Ascensore 2
lui si diverte
Buongiorno!
Buongiorno, prego.
No, no, prego, dopo di lei!
Grazie.
Lo porta a fare la passeggiatina?
Eh, si.
Ma è buono! non lo sentiamo mai abbaiare.
Si. È’ buono.
E lui si diverte!
Eh, si.
Che bello che è, come si chiama?
Spino.
Spillo!
No, Spino.
Ah! Spino!
Si.
Ciao Spino!
Arrivederci!
Arrivederci.
... nell'anno 2010
... nell'anno 2010
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