yo-yo

dimentichi la mano che ti guida
scendi con il tuo corpo rigido
rotante
e tempo che si svolga un tempo
appeso al tuo peso
sfiori il fondo e ritorni
sempre, a comando

attrezzo da giocoleria




c'è chi fa domande, e non ascolta le risposte

Ann aspetta un libro che non arriva. Alessandra la chiama. Ann pensa voglia salutarla, invece Alessandra si scusa e le dice che ha sbagliato numero. la lezione di yoga salta. forse Ann ha sbagliato una pratica importante. oggi genera incomprensioni. non riesce a scaldarsi. fatica a salutare le persone. trova un appunto tra i documenti di lavoro: Boris Vian (Poesie) "Je voudrais pas crever" 1962 - Non vorrei crepare Trad. G.A.Cibotto TEN 1999. non lo troverà mai. esce a fare due passi sulle sabbie mobili.    

Giorgio, marito di Alda, morto all’età di 70 anni per arresto cardiaco, gestiva un’azienda tipografica che aveva ereditato dal padre. Sempre dal padre aveva ereditato quattro appartamenti e due negozi nonchè la villa dove abitava con la moglie, la figlia e l’anziana madre, che non aveva mai voluto accompagnare in casa di riposo. Dalla morte di Giorgio, Alda, che non deve più occuparsi della suocera, divide la sua grande casa con Simona, la figlia che non si è mai sposata.
Giorgio aveva abituato moglie e figlia a non occuparsi di nulla se non della casa, e di sua madre; agli affari pensava lui. Suo figlio Fabio aveva scelto di non intraprendere alcuna attività in società con il padre, la cui morte improvvisa, appena un anno dopo la morte della nonna, aveva spalancato a lui e alle due donne un mondo fino ad allora sconosciuto, che faticosamente si era trovato a dover gestire. Fu venduta presto la tipografia per realizzare denaro utile alla sopravvivenza di tutti e alla gestione delle altre proprietà immobiliari. Fu licenziato l’agente immobiliare che si occupava della gestione degli affitti e di provvedere alla manutenzione degli immobili, ma tutte le proprietà rimasero intestate alla madre, Alda, che per nessun motivo volle delegare i figli a gestire il suo patrimonio. 

Alda, ottantatreenne, vive con la figlia, Simona, single, sessantenne. Donna abituata alla presenza rassicurante del marito, a seguito della sua scomparsa manifesta attacchi d’ansia ad ogni situazione nuova, si tratti di incontrare persone che non conosce o di prendere una qualsiasi decisione, che in ogni caso riserva sempre e solo a sè. Pretende la vicinanza dei figli ma non li lascia liberi di decidere nulla. Non si sposta mai da casa e vuole affrontare le situazioni con le persone da sola al telefono, anche se è affetta da una sordità piuttosto grave, cosa che comporta frequenti fraintendimenti di cui, alla resa dei conti, accusa chi sta dall’altra parte del telefono. Chi ha avuto occasione di parlare con lei è concorde nel dire che ha una voce e modi d’altri tempi. Il tono esitante, palpitante e talvolta tremulo contrasta con le sue affermazioni perentorie dalle quali difficilmente fa marcia indietro. Usa molto spesso il pronome personale ‘Io’ sottolineandolo con un temporaneo innalzamento del tono di voce, a ribadire l’autorità a suo dire indiscussa. Se la conversazione al telefono supera i dieci minuti, scivola facilmente a parlare del suo caro marito estinto, di cui conserva, a distanza di tredici anni, intatta ammirazione. Quando le capita di non saper gestire bene una conversazione si avvale della presenza della figlia che a voce alta, ben udibile all’interlocutore di turno, azionando il ‘viva voce’ sul telefono suggerisce all’anziana madre le frasi da dire. 

Simona, donna raffinata, vive con la madre e ostenta per lei un amore poco credibile. Capelli cotonati fuori moda, bionda e rinsecchita dentro abiti color pastello, si propone alle persone che ricoprono un ruolo dirigenziale chiamandoli Dottore o Dottoressa senza nemmeno sapere se il titolo è dovuto. Con un accenno di sorriso stampato in volto, modi gentili e sguardi ammiccanti, cerca consensi ad ogni angolo, ma mantiene le distanze dal popolo, a meno che i suoi rappresentanti non siano inquilini di una delle sue proprietà. In tal caso si erge a paladina dei loro diritti, cerca soluzioni ai loro problemi, tesse rapporti improbabili implorando che non se ne vadano e paghino sempre l’affitto. Riferisce sempre per la ‘mamma’ e deve rendere conto a lei di ogni suo operato. Allo scopo ha l'abitudine di tenere in borsetta un registratore con il quale registra le conversazioni o le riunioni a cui partecipa senza ovviamente preavvisare i presenti, salvo poi confessarlo candidamente alla prima occasione. La chiamano ‘signorina’ ma ha compiuto sessant’anni da un tempo imprecisato. Poco si sa dei motivi per cui non ha preso mai marito. A chi è capitato di sentire la sua voce nella stessa stanza dove la madre tiene le sue conversazioni telefoniche in viva voce, è rimasto impresso il cambiamento di tono con cui si rivolge alla madre quando questa non capisce cosa le viene riferito. Un tono di stizza e frasi volgari, un disprezzo che sparisce nell’istante in cui prende le redini della conversazione e parla con un interlocutore esterno. Invia biglietti d’auguri per le festività natalizie con frasi ridondanti e di rito, usando spesso la parola ‘sincerità’. 

Fabio, cinquantenne fratello di Simona, vive solo in un appartamento di proprietà della madre. Ha un aspetto normale, di un uomo che passa inosservato. Abbastanza alto, non presenta calvizie, indossa gli occhiali solo quando legge. Detesta madre e sorella. Ha poca stima delle donne in generale. Viveva assieme alla fidanzata da una decina d’anni. Poi lei lo ha lasciato per un altro e da allora vive solo. Si interessa alla gestione delle proprietà di famiglia solo quando non può sottrarvisi, e subisce suo malgrado le pretese della madre verso la quale reagisce con scatti d’ira. E’ socio con altri due nella gestione di un’agenzia di viaggi. I suoi amici sono uomini i cui matrimoni sono falliti, per i quali organizza viaggi in zone esotiche per turismo sessuale. I soldi non gli mancano. Lavora di giorno e frequenta qualche lap dance la notte, più per noia che per passione. D’estate se ne va in barca a vela, o a fare qualche giro in moto. D’inverno attende la neve a Cortina per la settimana bianca tra fine dicembre e gennaio. L’unico suo vero amico, l’unico disinteressato, si è trasferito in Francia per lavoro, e nonostante lo abbia invitato spesso a raggiungerlo, Fabio non riesce a modificare il suo stile di vita per aprirsi a qualcosa che lo soddisfi maggiormente. Le donne che frequentano i suoi amici sono quasi tutte bellissime e brasiliane; lui le guarda, e guarda le mani degli amici posarsi su quei corpi perfetti e desiderabili, ma non potrebbe mai pensare di portarne a casa una, sua madre non lo accetterebbe.

che c'azzecca Ann con Giorgio, Alda, Simona e Fabio?

 
 

figure 2



La croce sul petto ti dona,
Cleopatra.
E torna minore, ripetuta
sul tuo corpo interrotto e
sulla tua veste, ossidata.

Chi ha iniziato il dialogo muto
d’amore senza amore?
Chi ha coperto il suono di parole nuove
con un gesto blu,
su una pagina di ieri?

Profilo ad incastro di bianco e di nero
di bende immemori,
l'una dell'altra.



desiderio

neve. desidero vedere la neve. ma non in un giorno qualsiasi, nel giorno del mio compleanno. voglio la neve mercoledì 4 dicembre. la voglio vedere anche solo per un'ora. la chiedo al cielo. mi alzerò presto, e aspetterò. la neve.


figure

prima fai un passo allungato
sulle tue scarpe a punta,
allegria di vento innocente,
nel vuoto.

prima un ginocchio rosa
s’inventa un tacco a riposo
e calmo è il giro di bianco, grumoso.

prima mi dai l’innocenza sgraziata
scolpita nel sorriso nero, scomposto,
e filamenti di viscere
senza fissa dimora.

poi ti alzi e sei imponente
indossi la tua cravatta urlante
esplodi in apertura alare
senza seno/senso/senno
e dicono di te che sei inquietante.

piano ritorni frammento
e riposi nuda, in pace,
laggiù in fondo,
l’anima bianca appoggiata al mento,
e stai.

parole povere - pierluigi cappello

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l'altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l'aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c'ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l'occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l'altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c'è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l'ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d'inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all'improvviso
ma d'inverno è bello quando si confondono
l'alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.

Uno l'ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l'hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l'allegria dei vinti e una tristezza grande.

dietro le quinte 15. punto.

Luchi è il luogo dove io non potrò mai arrivare, il luogo in cui non so distinguere un colore da un altro. è la base dell'arcobaleno, inconsistente, irraggiungibile, vuota di me. potrei esserci già dentro e non saperlo, ma se fosse così, non saprei dirlo. Luchi è il pensiero che non ho mai avuto, il pensiero più vero e più ardito. l'unico degno di diventare un segno. Luchi è idiozia, la mia. «Costruisci per te un’arca di legno resinoso, la farai a celle e la spalmerai di bitume di dentro e di fuori. Ecco come devi costruirla: avrà 300 cubiti di lunghezza, 50 di larghezza e 30 di altezza». il condominio, questa cosa che odio profondamente, io credo abbia origine nell'arca di noè. i costruttori non lo sanno, ma seguono indicazioni 'importanti'. Luchi, Noè, l'arca e l'arco-baleno. forse ho bisogno di cure, più che di istruzioni per l'uso. adieu.


dietro le quinte 14

6,12. martedì mattina. a quest'ora è più importante il buio della luce, nel cielo. è un buio fresco e vigoroso, è un blubuio, promette il giorno. Luchi è già in piedi, c'è una luce minima che illumina la stanza che io credo sia il suo soggiorno. intravvedo la sua figura davanti alla porta a vetri che dà sulla terrazza bianca, ma non ne distinguo i movimenti, non vedo che fuma, ma so che sta lì e fuma. vista da qui quella luce minima sembra un focolare sospeso nel vuoto.  

170 anni

L'11 novembre di centosettant'anni fa veniva pubblicata la fiaba di Andersen 'Il brutto anatroccolo'. 



dietro le quinte 13

7,12. lunedì mattina. Luchi è sul terrazzo con addosso la sua felpa grigio scuro con cerniera. fuma. braccio sinistro piegato sulla pancia, mano destra che regge la sigaretta sempre davanti al viso. per la prima volta lo vedo sporgersi leggermente e guardare giù, attratto dal cicalino del camion delle immondizie che fa manovra per avvicinarsi al punto di raccolta. torna subito in posizione ma subito dopo lo vedo girare la testa verso destra e accompagnare con lo sguardo il passaggio del pulmino della scuola. il camion delle immondizie è giallo scuro, il pulmino della scuola è giallo chiaro. L'attimo dopo Luchi è in movimento per spegnere la sigaretta e rientra chiudendo la porta a vetri. all'interno della stanza che io credo sia il suo soggiorno la luce è accesa. dopo qualche minuto si spegne. è un mattino di cielo fermo, dall'aria provvisoria.

dietro le quinte 12

9,58. domenica mattina. non ho ancora visto Luchi uscire in terrazzo a fumare. durante la notte ha piovuto, le strade sono ancora bagnate. la luce si contende il cielo con le nubi che ne riflettono il chiarore. poco movimento in giro. il mio cane sta sdraiato vicino ai miei piedi. guardo la terrazza bianca e mi chiedo se Luchi abbia contatti con i vicini di casa. in ogni condominio c'è l'impiccione. possibile che a lui non capiti di essere molestato da tali presenze? dovrà pur uscire qualche volta sulle scale. è lì che in genere si fa l'incontro. sulle scale del condominio, quelle parti definite comuni a tutti e indivisibili che per loro natura sono ponti di collegamento fra gli appartamenti, fra le persone che li abitano. può capitare quello che è capitato a Eddine, sfacciatamente bello, di discendenza marocchino-egiziana. lui abita al piano terra, vive solo, lavora in una birreria. rincasa a notte fonda, e quella notte era accompagnato. dopo un'ora che era in casa qualcuno suona alla sua porta, ma lui non apre. il suono del campanello si ripete due, tre volte. Eddine non apre. dopo un po' gli squilla il cellulare, è un suo amico. Eddine risponde: "che c'è?" e il suo amico gli chiede "ma perchè non apri? sono qua fuori e la tua vicina mi ha detto di insistere perchè sa che sei in casa". forse una vicina così non avrebbe nulla da immaginare su una persona come Luchi. ne potrebbe parlare con le amiche dicendo che il suo vicino è una persona molto riservata, silenziosa, educata. mentre scrivo Luchi esce nel terrazzo. sembra mi abbia sentito. indossa la felpa grigio scuro, sta fermo in piedi e fuma, con il braccio sinistro attorno alla pancia. non vorrei sbagliare ma mi sembra si sia fatto crescere la barba. per un po' rimane fermo e guarda nella mia direzione. poi si gira di profilo, porta la sigaretta alla bocca con intervalli brevissimi tra una tirata e l'altra. spegne la sigaretta piegandosi in avanti sulla sinistra e rientra. i rami di pino che fanno da quinta alla terrazza bianca si muovono appena. c'è un po' di vento.

dietro le quinte 11 bis

8,49. Luchi esce ancora sul terrazzo a fumare. indossa la felpa blu, quella con fasce bianche sulle maniche. probabilmente ha fatto una doccia e si è cambiato. immagino faccia fatica a tenere gli occhi aperti, magari gli  bruciano come quando faceva la doccia da bambino e inevitabilmente gli andava del sapone negli occhi. immagino gli sia successo un inconveniente. sul più bello l'acqua è diventata fredda, gelida. Luchi ha provato a continuare la doccia ma non è così forte. cosa sarà mai una doccia fredda, il corpo può sopportare. si tratta di dominare il pensiero. doveva concentrarsi e ascoltare l'acqua gelida irrigidire il cuoio capelluto, le mani fredde avrebbero strizzato i capelli più volte, i brividi avrebbero invaso la superficie del suo corpo, la sua contrattura tra le scapole ne avrebbe risentito maggiormente, ma non sarebbe morto. no. invece, è uscito insaponato e con lo shampoo sui capelli, ha indossato l'accappatoio, è andato in cucina gocciolante e ha guardato la caldaia. anche lei probabilmente lo ha guardato. ha provato e riprovato. acqua fredda. ha riempito una pentola d'acqua, una di quelle non troppo grandi per il peso, nè troppo piccole, poichè i capelli sono grossi e ci si mette un po' per risciaquarli bene. è tornato in bagno e ha chiuso la porta. ha armeggiato più di un minuto con la pentola piena d'acqua calda, pensando a come poteva fare per non rovesciare l'acqua fuori dal lavandino. poi si è deciso e ha versato una prima parte di acqua sulla sua testa piegata sul lavandino. la schiena doleva, i movimenti erano impacciati per il dolore dovuto a quella contrattura che non passa. (sta troppo tempo seduto davanti al computer?). è riuscito a liberare una prima parte della testa dalla schiuma. l'acqua rimasta era poca e non sarebbe bastata per finire il lavoro. il corpo dentro all'accappatoio era ormai asciutto, la schiuma che aveva addosso si era seccata sulla pelle. ha alzato per un attimo la testa e si è guardato allo specchio. ha deciso di farla finita. è tornato a piegarsi con la testa sul lavandino, ha preso la pentola e ha versato tutta l'acqua rimanente sulla testa. fatto questo si è strizzato i capelli, ha alzato di nuovo la testa e ha visto che ancora la fronte era incorniciata da schiuma, così come il collo, le orecchie, le tempie. ha preso un asciugamano e lo ha strofinato con forza sulla testa. una volta rivestito, con la giacca blu con le fasce bianche sulle maniche, si è concesso un'altra sigaretta.

dietro le quinte 11

8,12. venerdì mattina. Luchi è in terrazza con addosso la felpa grigio scuro. la posizione, come di consueto, è quella con il braccio sinistro piegato sulla pancia a sorreggere il braccio destro con mano destra che regge la sigaretta sempre davanti al viso. i colori attorno stanno fermi, come lui. oggi non si avverte l'incedere del sole, del raggio che avanza e scopre i confini. la stradina pedonale che attraversa lo spazio tra il campo da calcio e il condominio dove vive Luchi è grigio scuro, come la sua felpa, un grigio carico di un cielo che guarda giù, in un mattino di novembre. i cieli di sole stanno in alto, e più li guardi più se ne vanno. i cieli di nuvole ti vengono a cercare, stanno bassi, e li puoi toccare. oggi, poesia dell'io dietro al sipario. 

LA VITA CHE IO VEDO

La vita che io vedo
anela gli estremi confini
il Deserto, la Selva, e nient'altro.

Vedo che Settembre,
quello dei Rossi Boschi di Felci,
deplora la sua materia;
avrebbe preferito essere 
solo Neve, Immensità e Lupi.

Vedo che il Sole
sogna la pura Luce,
e che la Notte
rimpiange i tempi primordiali,
quando tutto era notte.

Guardo anche il mio cuore,
e scopro che i suoi desideri
si riassumono, sfortunatamente,
in due parole:
la parola Sempre,
la parola Mai.

(Bernardo Atxaga)




dietro le quinte 10

7,49. giovedì mattina. stante la sua capacità di stare fermo sulla terrazza bianca, deduco non sia troppo freddo, e la cosa mi fa piacere, dato che mi muovo in bicicletta. Luchi oggi veste grigio, una felpa o una giacca in pile grigo scuro, con cerniera. stessa posa di ogni giorno, con braccio sinistro piegato sulla pancia a sorreggere il gomito destro. mano destra che regge la sigaretta sempre ferma davanti al viso. cominciavo a preoccuparmi, non lo vedevo uscire. di solito a quest'ora aveva già consumato il suo rito. 
la terrazza bianca è esposta a ovest, motivo per cui la mattina il sole sta alle spalle di Luchi, mentre io ce l'ho davanti, a est. solo a quest'ora iniziano a distinguersi le parti in ombra da quelle in luce tra i volumi delle costruzioni attorno alla terrazza di Luchi, volumi aggettanti e rientranti, terrazze, pilastri, cornicioni, camini. se strizzo appena gli occhi, come mi insegnò il maestro di disegno che adoravo per la sua fragilità, all'unico corso di disegno che io abbia frequentato, distinguo ancora meglio le parti oscure dagli sbattimenti di luce, e potrei decidere con sicurezza dove intervenire con il colore più chiaro, se volessi disegnare o dipingere il mondo che vedo. potrebbe starci, Luchi, disegnato nel mondo che io vedo. quelle figure senza volto che si deformano e diventano altro, fanno tutt'uno con il muro, con il vento e la luce. oppure nascerebbe come figura, come presenza umana isolata, sola, vista dall'alto, in un mare di terrazze condominiali, tutte chiuse, vuote, abbandonate. un puntino visto con google map.

dietro le quinte 9


10.15 mercoledì mattina. Luchi sta sulla terrazza del suo appartamento, che fa parte di un condominio, che occupa una superficie tra la terra e il cielo nel quartiere di un territorio di una cittadina di provincia, nella sua regione, che fa parte del suo stato, che sta in europa, che sta nel mondo, che fa parte dell’universo, di questo universo. Se è vero che sono in corso mutazioni del DNA da 2 a 3 a 4 eliche, che le calotte stanno scongelando, che il campo magnetico terrestre commette pazzie, che aumentano le attività sismiche, che siamo dentro al processo evolutivo della speciazione simpatrica, mi chiedo, se fosse vero che è come ci fossero due evoluzioni in atto, la linea della parte di umanità che procede nel suo cammino senza alcun cambiamento, e la linea di quelli che hanno deciso di abbandonare la vecchia strada per saltare su quella nuova, e se è vero che più il tempo passa e più le linee divergono, e il salto da una linea all’altra è sempre più difficoltoso, e arriverà il momento che invertire la rotta sarà impossibile e dunque occorre attuare una tras – forma – azione di noi stessi, mi chiedo: in quale delle due evoluzioni in atto è inserito Luchi?

dietro le quinte 8

7,16. martedì mattina. Luchi Cresime esce a fumare sulla terrazza bianca con addosso la stessa giacca della tuta che aveva ieri, quella con colletto azzurro. posso dire che tiene sempre la stessa distanza tra sè, il parapetto della terrazza e la porta a vetri alle sue spalle. è uno spazio apparentemente inutile quello che si lascia alle spalle, conterrà per lo più la larghezza della soglia in marmo che ospita l'accesso alla stanza che io credo sia il suo soggiorno. uno spazio che Luchi dimentica ogni volta che esce in terrazza a fumare. ma quei centimetri di marmo sono determinanti per la mia pagina e non solo, accompagnano il passaggio di Luchi dall'interno all'esterno, da una stanza privata, dove nessuno sa cosa accade, ad una terrazza dove lui diventa visibile a tutti, dove in qualche modo i suoi gesti avvengono in pubblico. se Luchi non attraversasse tutti i giorni, più volte al giorno, quella soglia, io non sarei qui a scrivere dell'uomo che io credo sia meridionale. in qualche modo le sue azioni, quelle che avvengono oltre quella soglia, determinano le mie, mentre le mie, è chiaro, non determinano le sue. non perchè io scrivo che Luchi Cresime perde l'equilibrio e cade dal terrazzo questa cosa avviene. ma se Luchi Cresime perde l'equilibrio e cade dal terrazzo e io lo vedo allora io lo scrivo. questo è il motivo per cui io non sono uno Scrittore.

dietro le quinte 7

sono rientrata a casa poco dopo le 21,00. dalla strada ho guardato verso la terrazza bianca di Luchi Cresime: le tapparelle sulla porta a vetri erano tirate giù. nessun rumore, nessuna luce, nessun movimento. forse Luchi va a dormire presto la sera, o abbassa le tapparelle per mettere la parola fine alla giornata. mi chiedo quante sigarette avrà fumato, oggi, e a che ora avrà fumato l'ultima. sto abbandonando l'idea che sia un insegnante, ma non riesco ad immaginare quale possa essere la sua occupazione. sembra una persona che rimane sempre in casa. non lo incontro mai, non lo vedo mai entrare o uscire dal cortile del condominio dove abita, di fronte a quello dove abito io. se fosse un uomo agli arresti domiciliari i carabinieri gli farebbero visita almeno due volte al giorno, ma non li ho mai visti gironzolare lì sotto. vorrei sapere in quale momento della giornata si procura le sigarette. un accanito fumatore fa scorta di sigarette, le compra a stecche, non a pacchetti. forse ha qualcuno che le compra per lui, forse la sua casa è un magazzino che contiene pacchetti di sigarette anche nei cassetti di biancheria intima. 
forse un giorno Luchi Cresime ha letto un libro, ha perso il senso della realtà e da quel giorno non è più uscito dall'appartamento. da quel giorno guarda il mondo dalla sua terrazza bianca. una sorta di barone rampante sul cemento, che tuttavia non dirige alcunchè dall'alto, non baratta nulla, non s'innamora. un barone rampante sostanzialmente fermo, che non guarda giù, nè avanti, nè in alto. un barone rampante che invecchierà senza aggrapparsi alla fune della mongolfiera, perchè non la vedrà passare.

dietro le quinte 6

7,29. lunedì mattina. l'uomo che io credo sia meridionale, che d'ora in poi chiamerò LUCHI CRESIME o affettuosamente, LUCHI, è già in postazione. il suo corpo è rivolto verso sinistra, in direzione del posacenere, la testa è ferma. indossa una giacca della tuta che non ho mai visto: colletto azzurro, maniche, spalle e metà busto blu, pancia azzurra come il colletto. tiene il braccio sinistro piegato a reggere il gomito del braccio destro. la mano destra regge la sigaretta, e rimane sempre davanti al viso. visto da qui stamattina Luchi Cresime non ha sesso. potrebbe essere Ladochi Cresime, poichè i pochi movimenti che fa non sanno molto da uomo. ha un modo di stare immobile mentre fuma che mi restituisce un atteggiamento non prettamente femminile, ma poco maschile, di una donna con pettinatura maschile, un casco di capelli un po' squadrato, capelli grossi, che non si muovono al vento, riga in parte. un uomo che esce in terrazza a fumare me lo immagino piuttosto con giacca aperta sul petto, gambe larghe (che peraltro da qui non vedo) una mano in tasca, braccio con la mano che regge la sigaretta accesa steso lungo il fianco, e movimenti che lo portino ad appoggiarsi talvolta al parapetto del terrazzo, a guardare di sotto, e sulla strada. ma avendolo visto dalla strada, so, sono sicura, che Luchi Cresime è un uomo, con capelli corti castano scuro, fuori taglio, troppo folti sulle tempie e troppo lunghi sulla nuca. lui sta lì, raccolto nel suo cilindro, non occupa altro spazio che non sia quello necessario alla sua circonferenza, non si allarga, non sorprende l'aria con movimenti inconsueti. le piastrelle del pavimento della terrazza, il parapetto e la porta a vetri sanno, che quando Luchi esce a fumare non si sposta, non tossisce, non si gratta.
8,12. Luchi Cresime esce nuovamente sul terrazzo e fuma. ora indossa una giacca della tuta blu con righe bianche piuttosto larghe sulle maniche. probabilmente ha fatto colazione, si è fatto una doccia, si è cambiato i vestiti. il suo corpo è rivolto verso il centro della terrazza. prima di rientrare si volta verso la porta a vetri, appoggia la mano sinistra sullo stipite, dà un ultimo tiro alla sigaretta, si stacca leggermente dalla porta e si piega verso il posacenere. poi rientra lentamente, chiude la porta a vetri, e rimane qualche secondo a guardare dai vetri nella mia direzione. distinguo da qui le righe bianche sulle maniche della sua giacca, che spiccano nel buio della stanza. non sembra sia una persona che ha fretta di uscire.

dietro le quinte 5

6,39. sabato mattina. la luce all'interno della stanza dove abita l'uomo che io credo sia meridionale è accesa. la porta a vetri è ancora chiusa. dev'essersi alzato da poco. alle 5,30 era tutto spento. è molto probabile che quell'uomo viva solo. la stanza da cui esce a fumare credo sia il suo soggiorno. a volte la luce che si intravede fa pensare ad uno schermo acceso, come una luce fredda di un televisore, ma non ora. quella che scorgo è una luce gialla, non a soffitto, su un lato della stanza. non so dire perchè, ma immagino mobili scuri all'interno di quel soggiorno. un divano in pelle, scuro, mobili marrone scuro, pochi libri, pareti bianche, pavimento chiaro, in piastrelle. nessun tappeto. qualche quadro appeso, paesaggi innevati per lo più, rigorosamente con vetro e cornici orribili, dorate. no. quell'uomo che io credo sia meridionale non ha un gran senso estetico. le cose non fanno parte di ciò che conta per lui. riproduce nel suo ambiente quanto ha sperimentato nell'ambiente della sua famiglia d'origine. in fotocopia. fotocopia in bianco e nero. e io non ho una gran mattina, stamattina, per scrivere dell'uomo che io credo sia meridionale. sono in piedi dalle 4,00 grazie alle urla del vecchio del piano di sopra.

dietro le quinte 4 bis

8,49. l'uomo che io credo sia meridionale è uscito a fumare ancora. velocissimo a rientrare questa volta, tanto da farmi pensare che non abbia nemmeno finito la sigaretta. la terrazza bianca è tutta in ombra. il sole illumina i tetti.

dietro le quinte 4

7,30. venerdì mattina. l'uomo che io credo sia meridionale è appena uscito sulla terrazza bianca. si muove molto con la testa, ma non capisco il senso dei suoi movimenti. per la prima volta vedo che si china verso l'angolo sinistro della terrazza allungando il braccio destro. si allunga anche con il corpo nella stessa direzione, poi torna in posizione con la mano destra davanti al viso e il braccio sinistro piegato sulla pancia, a sorreggere il gomito del braccio destro. il posacenere dunque sta sull'angolo sinistro della terrazza, in basso. forse a fianco del posacenere ci sono dei vasi, delle scatole o qualche paio di scarpe. non credo tenga i contenitori per le immondizie nella terrazza bianca. se fosse così lo vedrei uscire più spesso e fare dei movimenti diversi, lavorare con i sacchi, sollevare dei pesi. l'uomo che io credo sia meridionale non fa tutto questo. lui fuma, e guarda. oggi indossa una giacca della tuta blu, con fascia bianca lungo le maniche. visto da qui è uguale a tutti gli altri giorni. di diverso però, ha la giacca della tuta blu con fascia bianca sulle maniche. data la frequenza con cui esce a fumare, non credo che quei minuti costituiscano per lui una pausa di relax. credo sia più probabile che nella sua testa i pensieri non si fermino, che anche il suo corpo rimanga in tensione, che i suoi muscoli e la sua pelle conservino la memoria fisica di quello che stavano facendo l'attimo prima di accendere la sigaretta, e presagiscano le azioni che andranno a fare una volta spenta la sigaretta. così penso che l'uomo che io credo sia meridionale sia una persona apparentemente calma, ma mai rilassata. chissà se l'uomo che io credo sia meridionale è interessato al fatto che oggi è la festa di Ognissanti. potrebbe non volerci pensare, o non pensarci affatto poichè non è religioso. o potrebbe esserne contento per il fatto che oggi è venerdì, e non si lavora. 
la terrazza bianca è di nuovo vuota dell'uomo che io credo sia meridionale.

dietro le quinte 3 - divagazione - il gigante e le patatine


Tempo fa ho girato un video. Era una domenica mattina, una domenica d'estate. Poco prima delle otto ero in giro con il mio cane, quando ancora il mio cane riusciva a fare strada. La domenica mattina, poco prima delle otto, non c’è movimento in piazza. Poco a poco il silenzio se ne va e tutto ricomincia, ma fino ad allora sembra davvero che il mondo stia dormendo. In quel video si vedono i miei piedi che un passo dopo l’altro procedono su una stradina con sassolini bianchi. Ho un po' la mania di filmare o fotografare i miei piedi. Questo non significa che io abbia tante foto dei miei piedi. Anzi, non ne ho, perchè ogni volta li inquadro e poi fotografo altro, ma prima li inquadro. Comunque nel video indosso un paio di ballerine in tela nera con roselline rosse e foglioline verdi. La punta delle scarpe è in pelle bianca, e anche la suola. Dove finisce il tessuto nero a fiorellini e inizia la pelle bianca della punta c’è una piccola asola annodata in filo nero. Nel video si sente solo il rumore dei passi, quel rumore di patatine sgranocchiate dal gigante, e qualche eco di passaggio d’auto. La stradina è una di quelle che attraversano i giardini pubblici che circondano il castello medioevale in centro, lungo il corso d’acqua. Il video riproduce i miei piedi che procedono sulla strada dritta. In prossimità di una curva però i piedi non la seguono, abbandonano la stradina di sassi, iniziano a calpestare l’erba, procedono per pochi passi e si arrestano con le punte delle scarpe addosso alla base di un tronco d’albero. L’immagine risale il tronco dell’albero per poi allargarsi progressivamente sui rami, poi sulla chioma. Fine del video.
Le scarpe non le ho più. Il video non funziona più. Io tendo a non abbandonare la strada.

dietro le quinte 3

ho chiuso la tenda, ieri. all'improvviso mi sono sentita scoperta. quella figura con giacca celeste scuro, probabilmente un pile, era immobile e sembrava guardare me. sono scesa in strada. l'uomo che io credo sia meridionale era sempre lì che fumava sulla terrazza bianca. non ho resistito e passando sotto alla sua terrazza ho alzato lo sguardo nella sua direzione. porta gli occhiali. occhiali rotondi con una montatura leggera, dorata. lui di certo mi ha vista attraversare la strada. l'ho guardato mentre passavo di lato al condominio. lui guardava sempre dritto davanti a sè. allora mi sono girata e ho guardato da quel punto in direzione della mia finestra. ho visto il triangolo di vetro, e le tende giallo scuro. se accendo la luce e fuori è buio anche lui mi vede. forse non distingue bene la mia figura quando il cielo è chiaro e io non accendo luci nello studio. ho attraversato il cimitero per accorciare la strada da casa mia all'ufficio. nel calpestare i sassolini bianchi che ricoprono le stradine tra le tombe associavo il rumore dei miei passi ad un gigante che sgranocchiasse patatine. e i morti mi guardavano dalle foto nelle lapidi. sempre mi guardano da lì, e io non vedo loro. è sempre così. sarà sempre così? ho visto le tombe allestite a festa. ci sono donne che in questi giorni scendono dalle auto nei parcheggi attorno al cimitero con scope e secchi per pulire le lastre di marmo. fanno le casalinghe per i morti. lavano bene, riordinano, tolgono le foglie secche d'intorno, pensano i colori che devono essere diversi dall'ultimo giro di fiori, per dare ancor di più la sensazione di nuovo, di pulito, di festa. il fiorista all'entrata fa soldi a palate. nuvole di crisantemi. il fiorista che anni fa tentò una rapina e fu violento, mi saluta allegramente quando passo. parla forte. mi sorride e mi chiede "tutto ben?". ieri c'erano molte donne che attendevano di acquistare fiori. voci. umori umidi.

giallo e grigio

curioso. ho ricordato (non a caso) i colori della copertina di 'Je me souviens' acquistato a Parigi lo scorso agosto. qui nella foto il libro è appoggiato sopra al tavolino di un locale battente bandiera cubana, lì a Parigi. giallo scuro e grigio scuro, proprio come le pareti della mia stanza, e delle scale di Milano, con le stesse tonalità. davvero curioso. oltre al fatto che io, non so il francese.

dietro le quinte 2

8,15. martedì mattina. non c'è nessuno sulla terrazza bianca. l'uomo che io credo sia meridionale forse ha già fumato. la porta a vetri senza tenda è chiusa e la stanza al suo interno è buia. ma no.. si apre, eccolo! anche oggi, giacca celeste scuro, probabilmente un pile. il braccio sinistro lo tiene lungo il corpo con la mano in tasca, la sigaretta la regge con la mano destra, sempre alla bocca. non lo vedo mai accendere la sigaretta, forse la accende quando ancora è all'interno della stanza. è fermo e guarda nella mia direzione. se io vedo lui, probabilmente lui vede me. ma se rimango con la schiena rilassata a scrivere, la linea dei suoi occhi è nascosta da un piccolo ramo di pino, dei due che fanno da quinta, che sporge, così io vedo la sua figura, e preferisco pensare che lui non possa vedere me. lo guardo attraverso un triangolo di vetro creato dalle due tende che scendono dritte sulla finestra, ma una delle due, quella di sinistra, la scosto un po' e la fermo all'estremità del calorifero in basso. sono tende giallo scuro con disegni stilizzati rosso scuro. su quella di sinistra coccodrilli nella parte centrale con ai lati una larga cornice a rombi per tutta la lunghezza. su quella di destra serpentelli attorcigliati in file alternate a rettili di uguali dimensioni simili al geco, mentre la cornice è una fascia con una doppia linea spezzata che si snoda in lunghezza. la tenda di destra è di un giallo appena più chiaro rispetto alla tenda di sinistra, ma sempre coprente. un acquisto fatto per caso, a Roma, in un negozio messicano di articoli per la casa ma anche capi di abbigliamento, in una zona della città in cui non saprei tornare, poiché non ricordo alcun riferimento. non si può guardare attraverso queste tende, ma quando fuori c'è il sole, la stanza all'interno è avvolta da una nuvola gialla, caldissima, attraente, giocosa, protettiva, che mi dà pace. una luce che ti porti addosso anche quando esci, e che avverti ancora prima di entrare. una luce che rimbalza alle pareti, anch'esse giallo scuro da soffitto fino a un metro da terra, dove inizia una fascia grigio scuro che arriva a pavimento. sono colori che ho voluto riprodurre dopo averli visti a Milano, mentre salivo le scale di un condominio con cortile interno, ex case di ringhiera in via bramante, dove abitava un'amica che ora si è trasferita. stava al quarto piano, senza ascensore, e ogni volta che salivo le scale guardavo queste pareti dipinte in giallo e grigio, e le piante grasse sui gradini. voci, rumori. e musica. sempre musica di tutti i generi. ad ogni piano un genere diverso, che si mescolavano nell'aria comune del cortile. mi piaceva molto andare lì.
la terrazza bianca è di nuovo vuota, l'uomo che io credo sia meridionale è rientrato, la strada è bagnata.

dietro le quinte 1

7,30. domenica mattina. l'uomo che io credo sia meridionale esce a fumare nella terrazza bianca indossando una giacca, presumo un pile, di un celeste scuro. non abbassa mai la mano che regge la sigaretta, la tiene  sempre vicina alla bocca. da qui vedo una massa piuttosto informe, il busto celeste scuro, una mano vicino ad un viso di cui non scorgo i lineamenti, e capelli scuri. sta fermo. muove solo la testa a destra e a sinistra. dietro alla porta a vetri alle sue spalle non c'è nessuna luce accesa. quella stanza non ha una tenda sulla porta. mi chiedo se anche il resto di quella casa sia tutto senza tende. una porta è sicurezza. una tenda sulla porta è privacy. questo mi hanno insegnato al corso di aggiornamento, introducendo l'argomento password. ci sono livelli di protezione diversi. forse l'uomo che io credo sia meridionale non ha paura. forse, non sente violata la sua privacy rimanendo senza tenda sulla porta. lui continua a fumare. da qui sembra una figurina incorniciata su fondo nero e cornice marroncina, perchè sta giusto dentro ad un'anta della porta a vetri che delimita la terrazza bianca. dato che non vedo i lineamenti del viso, penso ad un quadro di munch, un ovale chiaro. ma la forma del busto dell'uomo che io credo sia meridionale, di cui vedo solo fino al giro vita, scende a tronco di cono, con la base verso il basso e non può essere una figurina sinuosa dipinta da munch. mentre guardo quell'immagine statica s'intromette a sinistra del mio campo visivo il movimento di un uomo che passa sulla stradina che taglia tra il campo da calcio e il lato nord del condominio con terrazze bianche. quell'uomo lo conosco di vista. cammina spedito, e dietro di lui, a distanza di circa tre metri, cammina il suo cane. il tempo minimo in cui con la coda dell'occhio ho guardato quell'uomo con il suo cane è stato sufficiente all'uomo che io credo sia meridionale per sparire dalla terrazza bianca.

dietro le quinte

sto per uscire ma non mi muovo. sono in ritardo, ma qualcosa mi trattiene. mi siedo e scrivo un po'. guardo fuori e vedo prima di tutto il vetro della finestra puntinato e opaco. passo oltre. le punte di due pini alti una quindicina di metri fanno da quinta alla terrazza bianca di là della strada che da pochi giorni è tornata ad essere abitata. mi sono fatta l'idea che chi la abita provenga dall'Italia del sud. forse un insegnante. molti insegnanti dell'Italia del sud quando finisce la scuola se ne tornano al loro paese d'origine, e tornano al nord quando la scuola è già iniziata. non so come fanno. ma spesso lo fanno. lui fuma. al mattino presto, quando è ancora buio, quell'uomo che io penso sia meridionale fuma. credo si accenda la sigaretta appena dopo essere andato in bagno. o forse prima fuma e poi va in bagno. lascia una piccola luce accesa nella stanza e socchiude la porta a vetri. sta lì e fuma. quando fa freddo ed è ancora un po' buio si vede il fumo. o forse lo intuisco. so che ci deve essere perché quando uno fuma dalla bocca esce fumo, dunque io da qui guardo e credo di vedere anche il fumo, mentre vedo solo un uomo che regge una sigaretta accesa, e ogni tanto la porta alla bocca. è più corretto dire che ne vedo i gesti. c'è anche una tenda grigia arrotolata in alto sulla terrazza, una di quelle tende da sole tutte uguali nelle terrazze dei condomini. ma in quel condominio bianco con terrazze bianche non scorgo altre tende oltre la sua. e non l'ho mai vista srotolata a fare la funzione per cui esiste, proteggere dal sole. quando c'è il sole forte, d'estate, le tapparelle bianche sulla porta a vetri sono sempre tirate giù, e rimangono così per più di due mesi, perché in casa non c'è nessuno e la tenda esterna grigia rimane arrotolata. mentre scrivo guardo e vedo l'uomo che io credo sia meridionale uscire in terrazza. indossa una giacca della tuta blu con scritte bianche, rimane fermo immobile e fuma. non sapevo che fumasse anche dopo le otto, quando ormai il cielo è diventato chiaro. forse il martedì è il suo giorno libero. non ho mai visto altre persone uscire in terrazza con l'uomo che fuma, neanche in altri orari del giorno, quando attraverso la strada che passa davanti al condominio bianco. o c'è l'uomo meridionale che fuma, o la terrazza bianca resta vuota, con la porta a vetri chiusa.
 
 

scrivania


Coricate alla mia sinistra, due penne bic, una rossa e una nera, puntano le loro punte senza cappuccio in direzioni opposte. Quella nera sopra un post-it giallo con su scritto ‘il parco’ punta verso un contenitore di plastica trasparente pieno di fermagli di varie dimensioni. Quella rossa arriva quasi a toccare un foglio bianco contenente alcuni appunti presi a matita, nomi e un numero di telefono. Natura morta con cellulare e busta per occhiali, il quadro che si apre ancora più a sinistra. La busta, nera, è di quelle morbide, con i laccetti per chiudere, e uno straccetto per pulire le lenti che fuoriesce appena, di color arancione. Un evidenziatore giallo evidenzia tutto il suo peso sopra allo straccetto, di cui intuisco le pieghe. Il cellulare è quasi tutto nero, parallelo all’evidenziatore, e muto, per lo più. Il collo duole se mi giro ancora più a sinistra, dove scorgo la macchina fotografica, nella sua busta rigida, nera. Tutto questo nero. Invece il tavolo è bianco. Solido e bianco, dove appoggio i miei gomiti e scrivo, muovo le dita delle mani sulla tastiera, nera, e scrivo. E mentre sento le dita dei piedi intorpidite dentro agli anfibi vedo che scrivo movendo le dita delle mani sulla tastiera, nera, ma tengo tra l’indice e il pollice della mano destra una matita, nera, come mi servisse per scrivere, ma non è così, perché uso la tastiera. Nero. L’eterno silenzio senza futuro. Così Kandinskij nello ‘Spirituale nell’arte’. Indosso jeans neri, e un maglioncino color ghiaccio, con motivi floreali  in velluto, nero. Fossero almeno stati disegnati da Fortuny. Ho fatto di tutto per arredare questo posto con i colori più chiari. C’è pure la libreria, alta e magra, bianca, di un bianco Ikea, una cosa che qui dentro non c’entra, con libri scritti solo da donne, forse sono settantadue, e anche questo non c’entra, come non c'entro io con questo posto, ma ci entro. Poi l’occhio guarda sempre in basso, e vede nero. Pochi pezzi, tutti neri. 


la fiera del riso


Lo vediamo aggirarsi tra i tavoli a parlare con le persone e a gonfiare palloncini. F1 si sbraccia e gli fa cenno di raggiungerci. J. arriva al tavolo senza capire chi siamo, si vede dall’espressione un po’ interrogativa, ma si siede tranquillamente con noi. F1 lo saluta e lo chiama per nome, gli chiede se si ricorda di lui, della bicicletta che voleva vendergli, della mangiata di carne a casa nostra, di quando ha chiesto se poteva suonare la chitarra. J. ha la carnagione scura anche d’inverno, le guance dipinte a strisce gialle e rosse e ha un punto rosso dipinto sulla punta del naso. Indossa sempre lo stesso paio di occhiali gialli, enormemente sproporzionati e senza lenti, un cappello morbido a tuba multicolore, giacca e pantaloni a toppe coloratissime e scarpe enormi con la punta rotonda all’insù. I capelli lunghi, folti e brizzolati sono raccolti in una coda che si appoggia e rimane ferma dietro alle spalle. Il pizzo è curato, accorciato rispetto a quando l’abbiamo conosciuto, appena sotto al mento. È a questa fiera del riso con i suoi palloncini e la sua bicicletta gialla da clown, con la ruota davanti enorme e quella dietro piccolissima. Ha gonfiato un palloncino a forma di cuore e lo ha regalato alla signora che vende il risotto con carne. La signora in cambio gli ha allungato un piatto con riso e carne abbondanti. Anche per oggi il pasto è assicurato. F1e F2 lo guardano mentre mangia il suo risotto. Lo guardo e penso a quella domenica che io e F1 l’abbiamo invitato a pranzo mezz’ora dopo averlo conosciuto in piazza, a gonfiare palloncini colorati. Ha lo sguardo sempre serio. Anche allora avevo osservato che era un clown che non rideva mai. Mi dice che son passati due anni da quella volta che ha pranzato da noi. Mi chiede cosa ho fatto in questi due anni, se ho realizzato il mio progetto. Gli chiedo: “Quale progetto, J.?”. Si volta lentamente verso di me, mi guarda dritto negli occhi. Vedo il colore dei suoi, di un marrone rotondo. “Volevi realizzare la biblioteca di condominio” mi dice. “Ah, me ne ero scordata, mi stupisce che ricordi questa cosa!” rispondo abbassando lo sguardo e guardando il mio bicchiere vuoto. Mi dice: “Io sono un mostro, ricordo tutto. Allora? L’hai fatto?”. Io tentenno nel dare una risposta. Penso che non so dire cosa ho fatto negli ultimi due anni. Mi sembra di fare niente. Fatico a ricordare di aver vissuto. Stringo gli occhi, ci penso forte ma non vedo il mio nome scritto da nessuna parte, mi penso nell’aria, sono vento. Torno a guardarlo e dopo un po’ dico: “No. Non ho realizzato quel progetto”. Lui mi chiede: “Perché?”. Io ripeto a voce alta la sua domanda: “Perché non ho realizzato quel progetto? Perché .. perché ho cambiato, sono cambiata, forse, in fondo si cambia continuamente, un poco, tutti. Tu sei quello di ieri?”. J. mi passa una mano sulla spalla e accenna ad un mezzo sorriso con gli occhi: “Tu sei peggio di me”. Guardo F1 e F2 seduti di fronte a me dall’altra parte del tavolo, fermi in silenzio, in mezzo al frastuono di voci e suoni della fiera. J. continua a mangiare. Mentre mastica alza la testa e guarda F2 e gli chiede se anche lui è veneto. F2 risponde di no, che lui e F1 si sono conosciuti durante il servizio militare, che abita poco lontano da lì, da dove si svolge la fiera. J. lo guarda fisso e gli dice: “Io sono uruguaiano. Sto cercando di sbrogliare una matassa. A te, cosa ti manca?”. Avverto una scossa. Guardo F2 che sorride meccanicamente e gli risponde: “Tutto e niente”. Penso che J. non sa, non può sapere, quale sia il nome di “tutto e niente”, quale il nome della sua malattia, quali i suoni informi che uscivano da quella bocca, quali sguardi opachi, quale potenza cresceva in quel corpo che si irrigidiva, quanti e quali momenti hanno scandito i giorni e le notti di F2 e di sua moglie I. per vent’anni, quali dolcezze, quale disperazione avvolse i loro cuori, quella notte.
Decido in un attimo che sono triste.

sul talento

“Il talento non va mai sprecato, solo chi non ce l’ha lo spreca”

Natura morta con custodia di sax - Geoff  Dyer 

se non hai niente da offrire, al mercato


ipermercato


guardarti da lontano
che ancora non sei sveglio,
attendere pian piano
l’orario che va meglio

per ammirar che s’alza
serranda come occhio
di tenero marmocchio:
l’immagine ti calza.

un tenero marmocchio
che si agita da fermo
viziato, si, confermo,
che guarda nello specchio

e vede tanta gente
passar tra le vetrine
immagine fluente
di tante figurine

tutti vanno di fretta
di tutto fanno incetta
vestiti, pane e latte
prosciutto a blocco o a fette

ti coccola il frastuono
di annunci con quel suono
dlin-dlon annunciazione:
il mondo è in promozione!

e quando vien la sera
si spengono le luci
spariscono gli amici
e tutto si scolora.

TELP (tentativo di esaurimento di luogo pordenonese)


18.40
“Annuncio ritardo di dieci minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Nel ritaglio di cielo che vedo, ancora chiaro, le punte dei pioppi che si possono scorgere al di sopra della pensilina in acciaio si muovono appena. Trave orizzontale, parallela al tetto del treno fermo al binario uno.
18.45
“Annuncio ritardo di quindici minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Scritte sulla fiancata del treno fermo al binario uno: peso reale 72 - peso frenato 65.
18.50
“Annuncio ritardo di venti minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Il binario due rimane libero. Sul marciapiede al binario due ci sono molte persone che aspettano. Meno di cento, più di cinquanta. La donna bionda alla mia destra si accende una sigaretta. L’individuo vestito di nero alla mia sinistra indossa occhiali scuri e passeggia allontanandosi un po’. Arriva un ragazzo con una bicicletta molto colorata e la sbatte a terra.
18.55
“Annuncio ritardo di venticinque minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Il ragazzo con la bicicletta molto colorata si toglie la maglietta nera e si riveste indossandone una bianca. Fa gesti veloci. Dice una bestemmia a voce alta per il ritardo del treno. Si attacca al telefono.
19.00
“Annuncio ritardo di trenta minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia, diversamente da quanto già annunciato. Ci scusiamo per il disagio”. Il marciapiede al binario due contiene anche il mio piede, che vedo se guardo giù: anfibio rosso. Un ragazzo e una ragazza si baciano, in piedi.
19.05
“Annuncio ritardo di trentacinque minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Bestemmia a voce alta del ragazzo con la bicicletta molto colorata. Le teste di molte persone sono rivolte all'insù per leggere sui monitors notizie del ritardo che scorrono come sottotitoli.
19.10
“Annuncio ritardo di quaranta minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Bestemmia a voce alta del ragazzo con la bicicletta molto colorata. Mi reco anch’io a leggere sui monitors e vedo che compare la scritta ‘i treni provenienti da Trieste e da Udine diretti a Venezia Santa Lucia subiranno ritardi o variazioni a causa di una persona investita sui binari tra le stazioni di Casarsa e Pordenone. L’autorità giudiziaria sta procedendo ai rilievi’.
19.15
“Annuncio ritardo di quarantacinque minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Bestemmia a voce alta del ragazzo con la bicicletta molto colorata. Una suora alle sue spalle, bassa di statura e vestita di bianco, si guarda attorno. Indossa occhiali spessi. Due piccioni bianchi e grigi volano sopra alla pensilina in acciaio.
19.20
“Annuncio ritardo di cinquanta minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Bestemmia a voce alta del ragazzo con la bicicletta molto colorata. Tre uomini con accento straniero bevono birra in lattina e parlano tra loro. Ogni tanto guardano il ragazzo con la bicicletta molto colorata.
19.25
“Annuncio ritardo di cinquantacinque minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Bestemmia a voce alta del ragazzo con la bicicletta molto colorata. Un giovane uomo prende per mano il suo bambino e si allontanano procedendo sul marciapiede al binario due verso una panchina distante dalla folla.
19.30
“Annuncio ritardo di sessanta minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Bestemmia a voce alta del ragazzo con la bicicletta molto colorata. Sale in sella alla sua bici e inizia ad esibirsi in evoluzioni nervose. Nessuno lo guarda, tranne me.
19.35
“Annuncio ritardo di sessantacinque minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Bestemmia a voce alta del ragazzo con la bicicletta molto colorata. Mi allontano e scendo le scale che portano verso l’uscita della stazione. Risalgo e mi trovo sul marciapiede al binario uno. Dentro al treno fermo al binario uno ci sono molte persone sedute. Molte altre persone passeggiano avanti e indietro sul marciapiede, entrano ed escono dal bar della stazione e aspettano.
19.40
“Annuncio ritardo di settanta minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Un ragazzo con le braccia tatuate è seduto in braccio ad una ragazza con il gomito destro tatuato e si baciano sulla panchina a fianco dell’entrata del bar. La ragazza con il gomito destro tatuato tiene in mano una bottiglia di birra stappata. Le loro teste penzolano e si appoggiano l’una all’altra.
19.45
“Annuncio ritardo di settantacinque minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Entro al bar e vedo che le scorte di panini sono esaurite. Una donna anziana entra e trascina un trolley rosso camminando lentamente. Indossa occhiali marrone e guarda il banco del bar. Le cameriere non alzano la testa e non le chiedono se le serve qualcosa. La donna anziana esce e torna sul marciapiede al binario uno.
19.50
“Annuncio ritardo di ottanta minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Entro nella sala d’attesa che ha l’ingresso di fronte al binario uno. E’ stretta e lunga, sul lato opposto all’ingresso c’è un’altra porta che comunica con un’altra area interna alla stazione. I muri sono rivestiti in marmo chiaro da pavimento fino a metà parete, e ci sono delle sedie color marrone, disposte su due file lungo le due pareti opposte. Le sedie sono quasi tutte occupate.
19.55
“Annuncio ritardo di ottantacinque minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Mi siedo su una sedia libera sulla fila di destra a fianco di un ragazzo nero che legge il giornale e occupa due posti con i suoi bagagli. Di fronte a me ci sono un uomo e una donna seduti che si tengono per mano, in silenzio. Alla loro destra è seduta una donna che legge un libro. Al suo fianco, verso l’uscita, altre quattro donne sono sedute in silenzio. Una di loro, con uno scialle rosso sulle spalle, legge un libro.
20.00
“Annuncio ritardo di novanta minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Suona il cellulare del ragazzo nero seduto alla mia sinistra. Il volume della suoneria è molto alto. Lui si alza ed esce. Entrano tre ragazze che ridono rumorosamente. Una si siede per terra alla mia destra. Una si siede a fianco della coppia che si tiene per mano in silenzio di fronte a me sull’unica sedia libera della fila di sinistra. Una toglie il giornale da una delle sedie occupate dal ragazzo nero e si siede.
20.05
“Annuncio ritardo di novantacinque minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. La ragazza seduta di fronte a me si accorge che la sua bottiglietta d’acqua non era chiusa bene e si alza in piedi di scatto mostrando a tutti i pantaloni bagnati sulla coscia destra. Qualcuno ride. Le ragazze che erano entrate con lei ridono forte.
20.10
“Annuncio ritardo di cento minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Il ragazzo nero rientra e mette a terra lo zaino che occupava uno dei suoi due posti, e si siede. La ragazza seduta per terra alla mia destra smette di ridere e apre un libro.
20.15
“Annuncio ritardo di centocinque minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. La ragazza con i pantaloni bagnati si interroga sul fatto che non hanno ancora annunciato la soppressione del treno. La ragazza seduta a fianco del ragazzo nero dice che comunque i suoi genitori andrebbero a prenderla solo in caso di emergenza. Le tre ragazze ridono forte.
20.20
“Annuncio ritardo di centodieci minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Agli annunci che riguardano il mio treno si sommano gli annunci dei ritardi riferiti agli altri quattro treni che dovevano partire dopo quello delle ore 18,44 per Venezia Santa Lucia. Comincio ad innervosirmi. Indosso gli occhiali da lettura ed apro il libro di racconti di Chiara Valerio. Non trovo la concentrazione e i miei occhi guardano la pagina senza leggere nulla.
20.25
“Annuncio ritardo di centoquindici minuti del treno in arrivo al binario due delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia”. Insisto a tentare la lettura di un racconto. Ne scelgo uno che si intitola ‘l’appartamento’. Mi pare che due donne finiscano a terra visitando un appartamento per prenderlo in affitto. Mi riservo di rileggere con calma. Chiudo il libro, sfilo gli occhiali e ripongo tutto in borsa.
20.30
“Il treno diretto a Udine delle ore 18.30 è in partenza al binario uno. Allontanarsi dalla linea gialla”. All’annuncio della partenza del treno al binario uno la sala d’attesa si svuota con rapidità e rimaniamo io e la signora con lo scialle rosso sulle spalle seduta sulla prima sedia della fila di sinistra, vicino all’uscita. Mi alzo in piedi e mi sposto verso l'uscita. Rimango ferma sulla soglia della porta. La signora mi dice qualcosa che non ho voglia di ascoltare. Poi mi pento, mi volto verso di lei. Il treno al binario uno parte, fa un rumore che disturba e non capisco nulla di quello che la signora mi dice.
20.35
“Il treno delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia” è in arrivo al binario due. Allontanarsi dalla linea gialla”. Sentito l’annuncio esco dalla porta verso i binari senza salutare la signora con lo scialle rosso che continua a parlarmi, scendo le scale, attraverso il tunnel vuoto e risalgo sul marciapiede al binario due. Il ragazzo con la bicicletta molto colorata è seduto per terra con la testa bassa, in silenzio. Non vedo la sua faccia. La suora bassa di statura, con occhiali spessi e vestita di bianco è ancora lì, e guarda nel vuoto con un rosario in mano. Due ragazzi seduti su una panchina stanno guardando un film sull’iPad con gli auricolari all’orecchio. L’individuo vestito di nero con gli occhiali scuri li indossa ancora, nonostante sia ormai buio.
20.45
"Il treno delle ore 18,44 proveniente da Trieste per Venezia Santa Lucia è in partenza dal binario due. Allontanarsi dalla linea gialla".
Sono seduta sul vagone di seconda classe del treno che mi riporterà a casa. Mi chiedo se la signora in sala d'attesa con lo scialle rosso sulle spalle stia ancora tentando di parlarmi, e se tornerà a casa. Mi rendo conto che ho guardato sempre e solo le persone. E questo retropensiero non c'entra nulla con un telp.